04/01/21

Verso una unione sempre più stretta? Seconda parte - La Commissione



La seconda parte dello studio di Perry Anderson, pubblicato recentemente sulla London  Review of Books, prende in esame un altro fondamentale organo della Ue, la Commissione europea, sin dai primi anni partner fondamentale della Corte di giustizia nel percorso di affermazione della supremazia del diritto comunitario rispetto ai Parlamenti nazionali, in quanto contesto più funzionale ai principi dell'ordoliberismo promosso dai suoi dirigenti e funzionari, pur se in modo diverso durante le tre principali fasi della sua storia. Dopo Maastricht  la Commissione ha perso parte del suo potere in favore del Consiglio europeo, e tuttavia Anderson  descrive come essa mantenga una grande importanza, sia per le enormi dimensioni del suo apparato burocratico, che per lo strumento di allineamento degli stati rappresentato dal formidabile monumento dell'acquis comunitario, che infine per il suo potere di dispensare premi o punizioni attraverso i flessibili fondi di coesione.  

Qui la prima parte sulla Corte di giustizia europea

Qui la terza parte su Parlamento, Banca centrale  e Consiglio europeo 

di Perry Anderson, 

London Review of  Books, gennaio 2021

La Commissione europea, la cui evoluzione è stata più tortuosa, è stata nei suoi primi anni il partner fondamentale della Corte. La sua storia può essere divisa approssimativamente in tre fasi, corrispondenti alle tre figure che terranno la sua presidenza per un intero decennio, ciascuna con due mandati: Walter Hallstein (1958-67), Jacques Delors (1985-95) e José Manuel Barroso (2004- 14). Hallstein, un avvocato e diplomatico tedesco - un democristiano noto soprattutto per la dottrina della Guerra Fredda a cui diede il suo nome, secondo la quale il riconoscimento della Germania occidentale da parte di qualsiasi stato era condizionata al rifiuto di riconoscere la Germania orientale - era un federalista dichiarato, che concepiva la Commissione come un proto-governo della Comunità e la sovranità nazionale una "dottrina del passato", assegnandosi lo status di "primo ministro d'Europa". Nel 1965 De Gaulle mise bruscamente fine alle sue pretese e l’immagine di Bruxelles perse ogni autorità e vigore. Tuttavia, nel suo periodo di massimo splendore, tra il 1958 e il 1964, Hallstein presiedette una Commissione che era un vulcano di energia indirizzata a trovare modi e mezzi per aggirare il Trattato di Roma nell'interesse superiore dell'unità europea.

Come ha dimostrato lo studioso francese Antoine Vauchez, Bruxelles divenne rapidamente una calamita che attirava dall’America avvocati aziendali e investitori alla ricerca di opportunità di mercato, i quali agivano con le aspettative e i modi di fare tipici di una potente federazione. Ben presto strinsero stretti rapporti con un numero considerevole di giuristi belgi esperti in diritto commerciale di alto livello, e questo ambiente comune offriva una facile intermediazione tra le multinazionali che arrivavano e la Commissione, e un ambiente propizio per lo scambio di idee con i dipartimenti chiave, come la Concorrenza e il Servizio giuridico. La Comunità economica europea creata dal Trattato di Roma non era stata concepita come un mercato da far west, e aveva dato vita a una politica agricola comune fortemente sovvenzionata e regolamentata, un anatema per gli economisti liberali, tanto da spingere l’intellettuale collega di Hayek, Wilhelm Röpke, a denunciarla come come nient'altro che un miserabile "Spaakistan", prendendo di mira il fondatore belga della politica agricola. Fin dall'inizio, tuttavia, la Direzione generale per la concorrenza della Commissione era una fortezza popolata da ordo-liberali tedeschi, la cui devozione ai principi di mercato e determinazione dei prezzi, che non dovevano essere ostacolati da ingerenze improprie da parte di alcuno Stato, li rendeva naturali fautori del federalismo, come lo era stato Hayek prima della guerra. In questo campo, il servizio giuridico ha aperto la strada, fornendo alla Corte di giustizia la stragrande maggioranza dei casi su cui le sue sentenze avrebbero potuto edificare una sempre più ampia costruzione del diritto europeo al di sopra dei parlamenti nazionali. Tra il 1954 e il 1978 i dieci più frequenti ricorrenti dinanzi alla Corte hanno proposto un totale di 1381 casi: di questi, 1082 provenivano dalla Commissione o da suoi collaboratori - poco meno dell'80%. Il circuito della collusione era intessuto strettamente. Nel 1964, Hallstein poté annunciare trionfante che l'Europa aveva raggiunto "l'inizio di una vera e piena’unione politica’".

Un anno dopo egli venne neutralizzato e la Commissione ha impiegato altri vent'anni per ritrovare il suo dinamismo. Quando l’ha fatto, è accaduto sotto altri colori. Delors, dal passato giovanile nella confederazione sindacale cattolica francese, a tempo debito si unì al Partito socialista, e lì sostenne una "Europa sociale". Ma se c'era un conflitto tra l'aggettivo e il nome, il nome veniva prima. Come ministro delle finanze sotto Mitterrand, fu Delors che si assicurò che il programma socialista su cui Mitterrand era stato eletto e a cui aveva inizialmente dato attuazione, fosse abbandonato con la famosa inversione a U del 1983 verso l'austerità, al fine di mantenere il franco nel Sistema monetario europeo. A capo della Commissione, Delors si profondeva in dichiarazioni sulla necessità di solidarietà sociale e verso la fine assicurò i fondi di coesione per aiutare le regioni più svantagiate della Comunità. I suoi principali risultati, tuttavia, furono l'approvazione dell'Atto unico europeo - elaborato durante il suo incarico da un emissario della Thatcher – che unificava e deregolamentava i mercati in tutta la Comunità e preparava l'Unione monetaria che sarebbe divenuta il fulcro del Trattato di Maastricht. Nella sua mente, queste erano le necessarie premesse per una solidarietà sociale a livello europeo. Non solo erano economicamente efficienti di per sé, capaci di promuovere una crescita che alla fine sarebbe stata di vantaggio per tutti; senza di esse, i governi non si sarebbero persuasi della necessità di redistribuire la ricchezza tra classi e regioni, aspetto essenziale per un'Europa che volesse ottenere la piena adesione dei suoi cittadini. Figura molto più carismatica e autorevole di Hallstein, uomo politico che trattava alla pari con tutti i leader nazionali dell'epoca, Delors li condusse alla moneta unica, ma non riuscì a raggiungere quegli obiettivi sociali che con essa pensava di poter conquistare. Tutti i governi, tranne Gran Bretagna e Danimarca, aderirono al primo, l'Atto unico. Pochi erano convinti del secondo. Delors fece inserire nel Trattato di Maastricht i fondi di coesione - aiuti per regioni svantaggiate, non per classi - ma queste erano solo le briciole della solidarietà, non il piatto forte: rispetto all'impatto successivo della moneta unica, poco più che l'elemosina di un ente di beneficenza.

Barroso, insediatosi quattro anni prima della crisi finanziaria globale del 2008 ed uscito alla fine del 2014, poco prima che Syriza andasse al governo, è stato il secondo primo ministro in carica di uno stato membro a diventare presidente della Commissione. Un politico della destra portoghese, noto in precedenza soprattutto per aver ospitato il vertice delle Azzorre, cui parteciparono Bush, Blair e Aznar, durante il quale fu lanciata la guerra in Iraq. La sua nomina a Bruxelles l'anno successivo dimostrò quanto fosse vuota l'opposizione nominale di Francia e Germania all'Operazione Iraqi Freedom. Messaggero dell'austerità nel suo stesso paese, il suo mandato ha segnato l'apogeo della spinta neoliberista che seguì l'introduzione della moneta unica, con la promulgazione della direttiva Bolkestein sui servizi del 2004 e la firma del trattato di Lisbona nel 2010. Benché personalmente fosse ambizioso e tenesse al suo ruolo come Hallstein o Delors, le idee che egli rappresentava erano saggezza convenzionale nel nuovo secolo, dato che sin da Maastricht il potere del Consiglio europeo era cresciuto in modo significativo a spese della Commissione, e durante il secondo mandato di Barroso il Consiglio europeo ebbe come suo presidente Van Rompuy, suo rivale davanti alle luci della ribalta con cui i suoi rapporti non furono mai buoni. Il suo mandato è stato meno significativo di quello dei suoi predecessori.

Oggi, 27 commissari, uno per Stato membro, con un portafoglio per ciascuno - naturalmente, di importanza molto diversa, dove la Concorrenza da tempo rappresenta il primo premio - formalmente godono dello stesso status del presidente, attualmente il politico della CDU Ursula von der Leyen. In realtà, come ha sottolineato nel 2012 l'ex direttore generale del Servizio giuridico, il tuttofare di Bruxelles Jean-Claude Piris (22 anni in sella), poiché ciò significherebbe che i quattordici commissari dei paesi più piccoli dell'Unione, che rappresentano solo il 12,65% della popolazione complessiva, potrebbero facilmente battere coi voti i sei commissari dei paesi più grandi, che rappresentano il 70% della sua popolazione, le decisioni sono sempre prese per  “consenso'', ovvero dietro una facciata di unanimità, sotto l'impulso o il veto dei sei stati principali. Allo stesso modo, il presidente della Commissione, responsabile dei rapporti con i capi di governo degli Stati membri, normalmente conferisce soltanto con quelli di quel gruppo selezionato, o forse solo col vertice di Berlino e Parigi: fare altrimenti ‘richiederebbe troppo tempo'. Così composta, la Commissione è formalmente investita del monopolio dell'iniziativa legislativa per l'Unione, ma qui la realtà è diversa: più di due terzi delle sue proposte sono ora elaborate insieme ai rappresentanti degli Stati membri nel fitto sottobosco di Bruxelles - in cui il COREPER,  che riunisce i rappresentanti permanenti degli Stati nell'UE, occupa un posto d'onore - e poi sono automaticamente approvate dal competente Consiglio dei ministri quando gli vengono trasmesse.

Sotto i commissari, nominati per cinque anni, si trova la burocrazia permanente dell'UE, composta da circa 33.000 persone: gli “eurocrati'', come definiti dall'Economist nel 1961, espressione poi divulgata senza intenti peggiorativi da un libro di Altiero Spinelli nel 1966. Nelle sue alte sfere, dove si trovano i capi e gli assistenti delle 32 direzioni generali della Commissione, fino alla metà degli anni '80 le assunzioni sono state fortemente orientate verso funzionari con un background giuridico; sotto di loro, nel corpo dell'amministrazione, era incoraggiato un orientamento umanistico generale, con un Master in studi europei, preferibilmente del Collegio d'Europa a Bruges. Successivamente, e con il successivo allargamento dell'Unione a est, il modello è cambiato. Sotto Romano Prodi (presidenza 1999-2004), il compito di modernizzare il sistema di retribuzione e reclutamento è stato affidato a Neil Kinnock, portando a Bruxelles la lieta novella del New Labour, con esiti prevedibili. Nel 2014, i due terzi dei direttori generali erano formati in economia, con stipendi proporzionalmente più alti per competere con il settore privato; più in basso, in nome della democratizzazione delle future assunzioni, la conoscenza delle lingue straniere o di qualsiasi cultura generale come requisito si è persa, lasciando il posto ai Master in Business Administration.

Per gli osservatori del percorso dell'UE a partire da Maastricht, tali cambiamenti potrebbero essere abbastanza logici - i neoliberisti venivano neoliberalizzati - ma non furono apprezzati da molti di coloro che li subirono, la loro origine anglosassone gettava sale sulle ferite post-Brexit. "Dopo aver spezzato l'Europa dall'interno per anni, la stanno spezzando dall'esterno distruggendone la legittimità politica", dice uno di loro citando Didier Georgakakis. Un altro, con meno rabbia: 'È folle se ci pensi. Se ne escono dopo averci imposto il loro modello amministrativo?" Ancora un altro:"Il nuovo modello è quello di Procter & Gamble". L'ascesa di Barroso, dalla presidenza della Commissione a presidente della divisione internazionale di Goldman Sachs, è stata una naturale conseguenza di queste riforme. Ma il cambiamento delle prospettive e dei costumi nella Commissione deve essere compresa anche nel suo contesto. Ci sono ora circa 30.000 lobbisti registrati a Bruxelles. Più del doppio del numero di lobbisti che infesta Washington, stimato a soli 12.000. A Bruxelles, il 63% sono lobbisti aziendali e consulenti, il 26% provengono da ONG, il 7% da think tank e il 5% da municipalità. Che l'esecutivo europeo possa resistere al contagio dei vapori di questa palude non è plausibile.

Dopo Delors, la Commissione ha dovuto fare il secondo violino rispetto al Consiglio europeo, che difficilmente nominerà di nuovo alla sua guida una figura di tale statura politica. Il sospetto popolare contemporaneo che considera la Commissione il demiurgo burocratico dell'Unione è in questo senso fuori luogo. Ma rimane un potere considerevole all'interno del complesso meccanismo dell'UE, in ragione di tre attributi ad esso peculiari. Il primo è semplicemente la sua dimensione, come corpo di funzionari permanenti, in confronto a quella di qualsiasi altra istituzione dell'Unione, e la roccaforte inespugnabile del suo funzionamento: 34 diverse "procedure" che nessun laico è in grado di comprendere. Il secondo sta nella incredibile vastità del regolamento, che brandisce come uno strumento di potere all'interno dell'Unione: l'acquis comunitario, impenetrabile per i suoi cittadini, ma inevitabile per i suoi stati, che costituisce il mezzo principale della Gleichschaltung dell'Europa orientale alle norme dell'UE, su cui presiedevano i commissari come proconsoli di Bruxelles. Originariamente messo insieme come una codificazione dei regolamenti CEE a cui il Regno Unito, la Danimarca e l'Irlanda avrebbero dovuto adeguarsi all'ingresso nella Comunità nel 1973, quando era già arrivato a 2800 pagine, l'acquis ora arriva a 90.000 pagine, il più lungo e il più formidabile monumento scritto dell'espansione burocratica nella storia umana (il famigerato codice fiscale degli Stati Uniti è un mero documento di 6500 pagine). L'identificazione eccessiva della conoscenza con il potere di Foucault qui trova la sua incarnazione letterale.

"Questa attrezzatura tecnica e cognitiva", scrive Vauchez, citando Joseph Weiler, non è solo lo strumento che ufficialmente definisce e autentica quell '"Europa" a cui i candidati chiedono di aderire nelle fasi di allargamento; essa si inserisce anche nelle operazioni più ordinarie dell'UE, trasformandosi nel “sistema operativo costituzionale dell'Europa ... assiomatico, fuori discussione, aldilà di ogni dibattito, come le regole del discorso democratico, o anche le stesse regole della razionalità, che sembrano condizionare il dibattito ma non farne parte”.

Né, ovviamente, è istituzionalmente neutro.

Poiché formalizza una figura stabile dell'Europa (le sue fondamenta, le sue missioni) e dei suoi oggetti di valore (il suo corpo legislativo), l'acquis individua implicitamente la capacità e la responsabilità di una “guida razionale'' degli affari europei in particolari istituzioni (qui: la Commissione e la Corte) e gruppi professionali (legali e funzionari dell'UE), espropriandone altri (qui: Stati membri, corti costituzionali, diplomatici nazionali, burocrati, ecc.).

Allo stesso tempo, insieme all'acquis come strumento disciplinare, la Commissione possiede uno strumento di potere capace di ammorbidire le posizioni, che consiste nella ripartizione e nell'erogazione dei suoi fondi di coesione, l'annona della strategia romana di van Middelaar per assicurarsi i clienti. Questi costituiscono una fonte significativa di clientela, un mezzo per indurre all’obbedienza o premiare la lealtà, la cui promessa potrebbe essere fondamentale per conquistare le élite locali alla volontà dell'Unione, dato che le condizioni possono anche essere mitigate laddove la politica richieda di trascurare la corruzione nell'interesse dell’inclusione ideologica, come in Romania e altri paesi candidati all'adesione. Poco notato all'epoca, l'allargamento geografico dell'Unione ad est ha prodotto anche il più grande allargamento operativo della Commissione dai tempi di Hallstein, che si è fatto carico del compito. Che alcuni dei suoi frutti siano diventati da allora delle spine nel fianco, poiché gli stati più avanzati dell'Europa orientale, una volta che le loro élite si sono sentite al sicuro all'interno dell'Unione, sono diventati meno sottomessi, è un'altra delle conseguenze non intenzionali, o contro-finalità, che sono state tante nella storia dell'integrazione.

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