17/11/22

D. Rodrik e S.M. Walt - Come costruire un migliore ordine globale

 


Su Foreign Affairs  un articolo molto importante di due tra i più autorevoli studiosi di relazioni internazionali, Dani Rodrik e S.M. Walt, della Harvard University. Essi propongono in maniera dettagliata  un approccio più costruttivo ai rapporti tra le grandi potenze che possa permetter loro di raggiungere l’obiettivo della sicurezza nazionale, senza necessariamente perseguire il primato globale. L'attuale approccio occidentale viene chiaramente definito non più adeguato, perché andando avanti così non è difficile  immaginare un mondo sempre meno prospero e più pericoloso.  Tuttavia, dicono gli autori, questo futuro non è inevitabile, e propongono un modello di relazioni strutturato in quattro parti, in base al quale affrontare le maggiori tensioni del mondo di oggi: dai rapporti tra Usa e Cina, ai rapporti con l'Iran e alla guerra attuale in Ucraina.  Naturalmente sta ai leader politici delle grandi potenze cambiare direzione, ma sta anche ai politici di tutti gli altri paesi, e ai cittadini che essi rappresentano,  far pressioni per un approccio più ragionevole e meno pericoloso.  


Come costruire un migliore ordine globale 

Limitando la rivalità tra grandi potenze in un mondo anarchico

di Dani Rodrik e Stephen M. Walt, Settembre/Ottobre 2022

 

L'ordine globale si sta deteriorando davanti ai nostri occhi. Il declino relativo del potere statunitense e la concomitante ascesa della Cina hanno indebolito il sistema di regole parzialmente liberale che un tempo era dominato dagli Stati Uniti e dai suoi alleati. Le ripetute crisi finanziarie, la crescente disuguaglianza, il rinnovato protezionismo, la pandemia di COVID-19 e il sempre maggiore affidamento sulle sanzioni economiche hanno posto fine all'era dell'iperglobalizzazione post Guerra Fredda. L'invasione russa dell'Ucraina può aver rivitalizzato la NATO, ma ha anche approfondito il divario tra est ed ovest e nord e sud. Nel frattempo, lo spostamento di molti paesi verso le priorità interne e una geopolitica sempre più competitiva hanno fermato la spinta alla crescente integrazione economica e bloccato gli sforzi collettivi per affrontare i pericoli globali incombenti.

L'ordine internazionale che emergerà da questo decorso degli eventi è impossibile da prevedere. Guardando al futuro, è facile immaginare un mondo meno prospero e più pericoloso, caratterizzato da Stati Uniti e Cina sempre più ostili, un'Europa rimilitarizzata, blocchi economici regionali orientati verso l'interno, un mondo digitale diviso lungo linee geopolitiche e relazioni economiche sempre più basate sugli armamenti per fini strategici.

Ma si potrebbe anche immaginare un ordine più favorevole, in cui gli Stati Uniti, la Cina e altre potenze mondiali competono in alcune aree, cooperano in altre, e osservano un codice di regole nuove e più flessibili, progettate per preservare gli elementi cardine di un’economia mondiale aperta e prevenire i conflitti armati, consentendo ai paesi un maggiore margine di manovra per affrontare le priorità economiche e sociali urgenti a livello nazionale. Più ottimisticamente, si può persino immaginare un mondo in cui le principali potenze lavorino insieme attivamente per limitare gli effetti del cambiamento climatico, migliorare la salute globale, ridurre la minaccia delle armi di distruzione di massa e gestire congiuntamente le crisi regionali.

Stabilire un ordine nuovo di questo tipo, più favorevole, non è così difficile come potrebbe sembrare. Attingendo agli sforzi del U.S.-China Trade Policy Working Group (gruppo di lavoro sulla politica commerciale USA-Cina), un forum convocato nel 2019 dal giurista della New York University Jeffrey S. Lehman, dall'economista cinese Yang Yao e da uno di noi (Dani Rodrik), per delineare un approccio più costruttivo ai rapporti bilaterali, proponiamo un semplice modello strutturato in quattro parti atto a guidare le relazioni tra le grandi potenze. Questo modello presuppone solo un accordo minimo su dei principi fondamentali - almeno all'inizio - e riconosce che potrebbero anche rimanere dei contrasti duraturi sulle tante questioni che dovrebbero essere affrontate. Piuttosto che imporre un insieme dettagliato di regole prescrittive (come fanno l'Organizzazione mondiale del commercio e altre istituzioni internazionali), questo quadro funzionerebbe come un "meta-regime": un dispositivo per guidare un processo attraverso il quale degli stati rivali o addirittura avversari potrebbero cercare un accordo o una conciliazione su una serie di problemi. Quando non trovano un accordo, come spesso accade, l'adozione del modello può comunque migliorare la comunicazione tra loro, chiarire perché non trovano un accordo e offrire loro incentivi per evitare di infliggere danni agli altri, anche se cercano di proteggere i propri interessi.

Fondamentalmente, questo modello potrebbe essere messo in atto dagli stessi Stati Uniti, Cina e le altre grandi potenze, per affrontare una varietà di questioni controverse, tra cui il cambiamento climatico e la sicurezza globale. Come è già stato dimostrato in diverse occasioni, l'approccio potrebbe portare a un traguardo che non può essere raggiunto con un'attenzione esclusiva alla competizione tra grandi potenze: un modo per le potenze rivali o persino avversarie di trovare un terreno comune, al fine di  mantenere le condizioni materiali necessarie per l'esistenza umana, far progredire la prosperità economica e ridurre al minimo i rischi di una grande guerra, pur preservando la propria sicurezza.

Gli incentivi a competere sono sempre presenti in un mondo privo di un'autorità centrale, e senza dubbio i poteri più forti continueranno a guardarsi l'un l'altro con sospetto. Se una qualsiasi delle maggiori potenze fa del dominio economico e geopolitico il proprio obiettivo prioritario, le prospettive per un ordine globale più favorevole sono scarse. Ma le pressioni sistemiche alla competizione lasciano ancora molto spazio all'agire umano, e i leader politici possono ancora decidere se abbracciare la logica della rivalità a tutto campo o lottare per qualcosa di meglio. Gli esseri umani non possono sospendere la forza di gravità, ma alla fine hanno imparato a superarne gli effetti e hanno preso il volo. I condizionamenti che incoraggiano gli Stati a competere non possono essere eliminati, ma i leader politici possono ancora intraprendere delle azioni per mitigarli, se lo desiderano.

 

MENO REGOLE, COMPORTAMENTI MIGLIORI

Secondo molte ricostruzioni, l'ordine internazionale emerso negli anni '90 è stato sempre più indebolito dalle dinamiche della competizione tra grandi potenze. Tuttavia, il deterioramento dell'ordine basato sulle regole non deve sfociare necessariamente in un conflitto tra grandi potenze. Sebbene gli Stati Uniti e la Cina diano entrambi la priorità alla sicurezza, tale obiettivo non rende irrilevanti gli obiettivi nazionali e internazionali che entrambi condividono. Inoltre, un paese che ha investito tutte le sue risorse in capacità militari e ha trascurato altri obiettivi, come un'economia equa e prospera o la transizione climatica, non potrebbe considerarsi sicuro nel lungo periodo, anche se in partenza era una potenza globale. Il problema, quindi, non è il bisogno di sicurezza in un mondo incerto, ma il modo in cui tale obiettivo viene perseguito e i compromessi che gli stati devono affrontare quando cercano di bilanciare la sicurezza con altri obiettivi importanti.

È sempre più chiaro che l'attuale approccio occidentale non è più adeguato per affrontare le molte forze che governano le relazioni di potere internazionali. Un futuro ordine mondiale dovrà accogliere le potenze non occidentali e tollerare una maggiore diversità negli assetti e nelle pratiche e istituzionali nazionali. Le preferenze politiche dell'occidente prevarranno meno, la ricerca di armonizzazione tra le economie che ha caratterizzato l'era dell'iperglobalizzazione sarà attenuata, ed a ciascun paese dovrà essere concesso un maggiore margine di manovra nella gestione della propria economia, società e sistema politico. Le istituzioni internazionali come l'Organizzazione mondiale del commercio e il Fondo monetario internazionale dovranno adattarsi a questa realtà. Piuttosto che ulteriori conflitti, tuttavia, queste pressioni potrebbero portare a un ordine nuovo e più stabile. Così come è possibile per le grandi potenze raggiungere l’obiettivo della sicurezza nazionale senza perseguire il primato globale, è possibile e persino vantaggioso per i paesi ottenere i benefici dell'interdipendenza economica nell’ambito di regole internazionali più flessibili e permissive.

Nel nostro schema, le maggiori potenze globali non hanno bisogno di concordare in anticipo le regole dettagliate che regolerebbero le loro interazioni. Invece, come abbiamo delineato in un documento di lavoro per la Harvard Kennedy School, concorderebbero solo su un approccio di fondo alle loro relazioni, in cui tutte le azioni e le questioni sarebbero classificate entro quattro categorie generali: quelle che sono proibite, quelle in cui gli aggiustamenti reciproci da parte di due o più stati potrebbero avvantaggiare tutte le parti, quelle intraprese da un singolo stato e quelle che richiedono un coinvolgimento multilaterale. Questo approccio in quattro parti non presuppone che all'inizio le potenze rivali si fidino l'una dell'altra, né che concordino su quali azioni o problemi appartengano a questa o quella categoria, ma, col tempo, riuscire ad affrontare con successo le divergenze all'interno di questo quadro potrebbe fare molto per aumentare la fiducia e ridurre le possibilità di conflitto.

La prima categoria – le azioni proibite - attingerebbe a norme già ampiamente accettate da Stati Uniti, Cina e altre grandi potenze. Come minimo, questa categoria potrebbe includere degli obblighi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite (come il divieto di acquisire territori mediante conquista), violazioni dell'immunità diplomatica, uso della tortura o attacchi armati contro navi o aerei di un altro paese. Gli Stati potrebbero anche accettare di rinunciare a politiche economiche "beggar thy neighbor", in cui i vantaggi interni vanno a discapito diretto degli altri, a cui vengono arrecati danni: l'esercizio del potere monopolistico nel commercio internazionale, ad esempio, e la deliberata manipolazione delle valute. Gli stati violeranno questi divieti con una certa frequenza e talvolta i governi non saranno d'accordo sul fatto che una particolare azione vìoli una norma stabilita. Ma riconoscendo questa categoria generale, riconoscerebbero che ci sono dei limiti alle azioni accettabili e che oltrepassarli ha delle conseguenze.

La seconda categoria comprende le azioni in cui gli stati possono trarre vantaggio modificando il proprio comportamento, in cambio di simili concessioni da parte di altri. Esempi ovvi includono accordi commerciali bilaterali e accordi sul controllo degli armamenti. Attraverso aggiustamenti politici reciproci, i rivali possono raggiungere accordi a mutuo vantaggio economico o eliminare specifiche aree di vulnerabilità, rendendo così entrambi i paesi più prosperi e sicuri e consentendo loro di spostare la spesa per la difesa su altri bisogni. In teoria, si potrebbe immaginare che gli Stati Uniti e la Cina (o un'altra grande potenza) accettino di limitare determinati dispiegamenti o attività militari, come operazioni di ricognizione vicino al territorio dell'altro o attività informatiche dannose che potrebbero influire negativamente sull'infrastruttura digitale dell'altro, in cambio di equivalenti limitazioni dall'altra parte.

Quando due stati non possono raggiungere un accordo reciprocamente vantaggioso, il modello offre una terza categoria, in cui entrambe le parti sono libere di intraprendere azioni autonome per promuovere obiettivi nazionali specifici, coerenti con il principio di sovranità, ma soggette a eventuali divieti concordati in precedenza. I paesi intraprendono spesso azioni economiche autonome a causa delle diverse priorità nazionali. Ad esempio, tutti gli stati stabiliscono i propri limiti di velocità autostradale e politiche dell’istruzione in base alle preferenze nazionali, anche se limiti di velocità più elevati possono aumentare il prezzo del petrolio sui mercati mondiali e il miglioramento degli standard educativi può influire sulla concorrenza internazionale nei settori ad alta intensità di competenze. In tema di sicurezza nazionale, accordi significativi tra avversari o rivali geopolitici sono particolarmente difficili da raggiungere e l'azione indipendente è la norma. Ciononostante, il quadro impone che tali azioni debbano essere ben calibrate: per evitare ritorsioni ed escalation che rischiano di portare a un riarmo destabilizzante o addirittura a un conflitto aperto, i rimedi dovrebbero essere proporzionati alla minaccia alla sicurezza in questione e non progettati per danneggiare o punire un rivale.



Naturalmente, ciò che un paese considera una risposta ben calibrata, da parte di un avversario può essere percepito come una provocazione, e le stime relative allo scenario peggiore sulle intenzioni a lungo termine di un rivale possono rendere difficile una risposta misurata. Tali pressioni sono già evidenti nella competizione militare crescente tra Stati Uniti e Cina. Eppure entrambi i paesi hanno potenti incentivi a limitare le loro azioni e i loro obiettivi indipendenti. Dato che entrambi sono paesi molto grandi, con una popolazione elevata, una ricchezza considerevole e ragguardevoli arsenali nucleari, nessuno dei due può nutrire alcuna speranza realistica di conquistare l'altro o di costringerlo a cambiare il proprio sistema politico. L'unica possibilità realistica è la coesistenza, e gli sforzi a tutto campo da entrambe le parti per ottenere la superiorità strategica semplicemente distoglierebbero risorse da importanti bisogni sociali, comporterebbero la rinuncia a potenziali guadagni dalla cooperazione e aumenterebbero il rischio di una guerra altamente distruttiva.

La quarta e ultima categoria riguarda quelle questioni in cui un'azione efficace richiede il coinvolgimento di più Stati. Il cambiamento climatico e il COVID-19 ne sono esempi evidenti: in entrambi i casi, la mancanza di un accordo multilaterale efficace ha incoraggiato molti stati ad agire in maniera autonoma, con conseguenti emissioni di carbonio eccessive nel primo caso e un accesso globale inadeguato ai vaccini nel secondo. Nel campo della sicurezza, gli accordi multilaterali come il Trattato di non proliferazione nucleare hanno fatto molto per limitare la diffusione delle armi nucleari. Poiché qualsiasi ordine mondiale si basa in definitiva su norme, regole e istituzioni che determinano il modo in cui la maggior parte degli stati agisce in via ordinaria, la partecipazione multilaterale su molte questioni chiave rimarrà indispensabile.

Visto nel suo insieme, il nostro modello consente alle potenze rivali di andare oltre la semplice dicotomia di "amico o nemico". Senza dubbio gli stati a volte adotteranno delle politiche con il preciso scopo di indebolire un rivale o riuscire a prevalere. Il nostro approccio non farebbe scomparire del tutto questo aspetto della politica internazionale, né per le grandi potenze né per i molti altri paesi. Tuttavia, inquadrando le loro relazioni intorno a queste quattro categorie,  potenze rivali come Stati Uniti e  Cina sarebbero incoraggiate a spiegare le loro azioni e reciprocamente chiarire le loro motivazioni, rendendo così molte controversie meno deleterie. Altrettanto importante, il quadro aumenta le probabilità che la cooperazione cresca nel tempo. Un confronto strutturato secondo le linee che proponiamo consente alle parti di separare potenziali zone di cooperazione dalle questioni più controverse o divisive, farsi conoscere, sviluppare un certo grado di fiducia e comprendere meglio le preferenze e le motivazioni dei loro partner e rivali, come accade quando si considerano situazioni concrete del mondo reale.

 

TRASPARENZA STRATEGICA

Diversi conflitti recenti dimostrano chiaramente i vantaggi del nostro approccio. Si consideri la competizione USA-Cina sulla tecnologia wireless 5G. L'emergere della società cinese Huawei come forza dominante nelle reti 5G globali ha preoccupato i responsabili politici statunitensi ed europei, non solo per le conseguenze commerciali ma anche per le implicazioni sulla sicurezza nazionale: si ritiene che Huawei abbia stretti legami con l'establishment della sicurezza cinese. Ma la dura risposta degli Stati Uniti, che ha cercato di paralizzare le attività internazionali di Huawei e di fare pressioni sugli operatori di telecomunicazioni statunitensi affinché non intrattengano rapporti commerciali con la società, ha solo aumentato le tensioni. Al contrario, il nostro quadro, sebbene consentirebbe ai paesi occidentali una notevole libertà nel limitare le attività di aziende cinesi come Huawei all'interno dei propri paesi, in gran parte per motivi di sicurezza nazionale, limiterebbe anche i tentativi degli Stati Uniti e dei loro alleati di indebolire le industrie cinesi attraverso restrizioni internazionali premeditate e scarsamente giustificate.

In effetti, i frutti di una strategia meglio calibrata per affrontare il conflitto Huawei si sono già visti. Contrariamente alle azioni intraprese da Washington, il governo britannico ha stipulato un accordo con Huawei in base al quale i prodotti dell'azienda nel mercato delle telecomunicazioni britannico vengono sottoposti a una valutazione annuale sulla sicurezza. Le valutazioni sono condotte dal Huawei Cyber ​​Security Evaluation Center, il cui consiglio di amministrazione comprende un rappresentante di Huawei insieme ad alti funzionari del governo britannico e del settore delle telecomunicazioni del Regno Unito. Se la valutazione annuale rileva aree di preoccupazione, i funzionari devono renderle pubbliche e dichiarare le motivazioni. Così, il rapporto HCSEC del 2019 ha rilevato che il software e il sistema di sicurezza informatica di Huawei rappresentano dei rischi per gli operatori britannici e richiederebbero aggiustamenti significativi per poter essere affrontati. Nel luglio 2020, il Regno Unito ha deciso di bandire Huawei dalla sua rete 5G.

In fin dei conti, la decisione potrebbe aver avuto meno a che fare con il rapporto HCSEC che con le pressioni da parte degli Stati Uniti, ma questo esempio illustra comunque le possibilità di un approccio più trasparente e meno controverso. Il ragionamento tecnico su cui è stata presa una decisione sulla sicurezza nazionale può essere considerato e valutato da tutte le parti, comprese le aziende nazionali con una partecipazione commerciale negli investimenti di Huawei, il governo cinese e la stessa Huawei. Questa caratteristica da sola può aiutare a costruire la fiducia, mentre ciascuna parte può avere una comprensione più completa delle motivazioni e delle azioni degli altri. La trasparenza può anche rendere più difficile per i governi nazionali invocare preoccupazioni di sicurezza nazionale come copertura per considerazioni commerciali puramente protezionistiche. E può facilitare il raggiungimento di accordi reciprocamente vantaggiosi a lungo termine.

Tuttavia, è probabile che la maggior parte delle azioni nel settore dell'alta tecnologia finisca nella nostra terza categoria, in cui gli Stati adottano misure unilaterali per promuovere o proteggere i propri interessi. Qui, il nostro quadro richiede che le risposte siano proporzionate ai danni effettivi o potenziali, piuttosto che un mezzo per ottenere un vantaggio strategico. L'amministrazione Trump ha violato questo principio impedendo alle società statunitensi di esportare microchip e altri componenti verso Huawei e i suoi fornitori, indipendentemente da dove operassero o dagli scopi per i quali i loro prodotti venivano utilizzati. Invece di cercare di proteggere gli Stati Uniti dallo spionaggio o da qualche tipo di attacco informatico, la chiara intenzione era quella di sferrare un colpo fatale a Huawei, privandola di input essenziali. Inoltre, la campagna degli Stati Uniti ha avuto gravi ripercussioni economiche per altri paesi. Molti paesi a basso reddito in Africa beneficiavano dei dispositivi relativamente economici di Huawei. Poiché la politica degli Stati Uniti ha importanti implicazioni per questi paesi, Washington avrebbe dovuto impegnarsi in un processo multilaterale che riconoscesse i costi che la repressione di Huawei avrebbe inflitto agli altri - un approccio che avrebbe conservato la buona volontà globale a un prezzo accettabile per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

 

AZIONE, NON ESCALATION

Il nostro modello suggerisce anche come il rapporto travagliato tra gli Stati Uniti e l'Iran potrebbe essere migliorato a vantaggio di entrambe le parti. Per cominciare, l'attuale livello di diffidenza potrebbe essere ridotto se entrambe le parti si impegnassero pubblicamente a non tentare di rovesciare l'altra e ad astenersi da atti di terrorismo o sabotaggio sul territorio dell'altra. Un accordo in questo senso dovrebbe essere facile da raggiungere, almeno in linea di principio, dato che tali azioni sono già vietate dalla Carta delle Nazioni Unite; inoltre, l'Iran non ha la capacità di attaccare direttamente gli Stati Uniti e i precedenti sforzi statunitensi per indebolire la Repubblica islamica sono ripetutamente falliti.

Anche se di breve durata, l'accordo sul nucleare del 2015 ha mostrato come anche avversari incalliti possano essere messi d’accordo su una questione controversa attraverso aggiustamenti reciprocamente vantaggiosi. L'accordo, noto come Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), è un perfetto esempio di questo approccio negoziato: Cina, Francia, Germania, Russia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione europea hanno concordato di revocare le sanzioni economiche legate al programma nucleare iraniano, e l'Iran ha accettato di ridurre le sue scorte di uranio arricchito e di smantellare migliaia di centrifughe nucleari, allungando notevolmente il tempo necessario a Teheran per produrre abbastanza uranio per armi da costruire una bomba.


I sostenitori del JCPOA speravano che l'accordo avrebbe portato a una discussione più ampia su altre aree oggetto di controversia: i successivi negoziati, ad esempio, avrebbero potuto limitare i programmi di missili balistici dell'Iran e le sue altre attività regionali, in cambio di un'ulteriore riduzione delle sanzioni o del ripristino delle relazioni diplomatiche. Come minimo, i colloqui in questo senso avrebbero consentito ad entrambe le parti di spiegare e giustificare le proprie posizioni e avrebbero dato a ciascuna parte una più chiara comprensione degli interessi, delle linee rosse e delle sensibilità dell'altra parte. Sfortunatamente, queste possibilità sono state precluse quando l'amministrazione Trump ha abbandonato unilateralmente il JCPOA nel marzo 2018.

Gli scettici potrebbero affermare che il destino del JCPOA rivela i limiti di questo approccio. Se l'accordo fosse stato nell'interesse di entrambe le parti, potrebbero obiettare, oggi sarebbe ancora in vigore. Ma il miope ritiro degli Stati Uniti ha chiaramente peggiorato la situazione di entrambe le parti. L'Iran è molto più vicino alla produzione di una bomba rispetto a quando era in vigore il JCPOA, i due paesi sono semmai ancora più diffidenti l'uno nei confronti dell'altro e il rischio di guerra è probabilmente più alto. Anche un accordo oggettivamente vantaggioso non durerà, se una o entrambe le parti non ne comprendono i vantaggi.

Dato l'attuale stato delle loro relazioni, gli Stati Uniti e l'Iran continueranno ad agire in modo indipendente per proteggere i propri interessi. Tuttavia, c'è motivo di credere che entrambe le parti comprendano il principio secondo cui le azioni unilaterali dovrebbero essere proporzionate. Quando gli Stati Uniti hanno lasciato il JCPOA nel 2018, ad esempio, l'Iran non ha risposto riavviando immediatamente il suo programma nucleare completo. Invece, ha aderito all'accordo originale per mesi, nella speranza che gli Stati Uniti lo riconsiderassero o che gli altri firmatari ne rispettassero i termini. Quando ciò non si è verificato, l'Iran ha abbandonato l'accordo in modo graduale e palesemente reversibile, segnalando la sua disponibilità a tornare alla piena conformità se anche gli Stati Uniti lo avessero fatto. Anche la reazione dell'Iran alla campagna di "massima pressione" dell'amministrazione Trump è stata misurata. Ad esempio, l'assassinio da parte degli Stati Uniti dell'alto generale iraniano Qasem Soleimani con un attacco di droni non ha portato l'Iran a un'escalation; al contrario, la sua risposta si è limitata ad attacchi missilistici non letali su basi che ospitavano le forze statunitensi in Iraq. Anche gli Stati Uniti hanno occasionalmente mostrato moderazione, come quando l'amministrazione Trump ha scelto di non reagire quando l'Iran ha abbattuto un drone da ricognizione statunitense nel giugno 2019. Nonostante la profonda animosità, finora entrambe le parti hanno riconosciuto i rischi di un'escalation e la necessità di calibrare attentamente le loro azioni indipendenti.

 

DALL'AGGRESSIONE ALLA MEDIAZIONE

Non c'è dubbio che la guerra della Russia in Ucraina abbia oscurato le prospettive di costruire un ordine mondiale più favorevole. L'atto di aggressione di Mosca è stata una chiara violazione della Carta delle Nazioni Unite e alcune truppe russe sembrano essere colpevoli di atrocità in tempo di guerra. Queste azioni dimostrano che anche norme consolidate contro la guerra di conquista o altri crimini di guerra non sempre riescono a prevenirli. Eppure la risposta internazionale all'invasione mostra anche che calpestare tali norme può avere conseguenze potenti.

La guerra evidenzia anche l'importanza della nostra seconda categoria - negoziazione e aggiustamenti reciproci - e cosa può accadere quando gli stati non sfruttano al meglio questa opzione. I funzionari occidentali si sono impegnati con le loro controparti russe in diverse occasioni prima dell'invasione della Russia, ma non hanno affrontato la preoccupazione dichiarata di Mosca, vale a dire la minaccia che ha percepito a causa degli sforzi occidentali per portare l'Ucraina nella NATO e nell'UE. Da parte sua, la Russia ha avanzato richieste di vasta portata, che sembravano offrire poco spazio ai negoziati. Invece di esplorare un vero compromesso su questo problema, come un impegno formale da parte di Kiev e dei suoi alleati occidentali per mantenere l'Ucraina neutrale, combinato con una riduzione dell'escalation da parte della Russia e rinnovati negoziati sullo status dei territori conquistati dalla Russia nel 2014, entrambe le parti hanno irrigidito le rispettive posizioni. Il 24 febbraio 2022, la Russia ha lanciato la sua invasione illegale.

Il fallimento nel raggiungere un compromesso attraverso negoziati lascia la Russia, l'Ucraina e le potenze occidentali nella terza categoria del nostro quadro: l'azione indipendente. La Russia ha invaso unilateralmente l'Ucraina e gli Stati Uniti e la NATO hanno risposto imponendo sanzioni senza precedenti alla Russia e inviando miliardi di dollari di armi e sostegno all'Ucraina. In linea con il nostro approccio, tuttavia, anche in mezzo a questo conflitto eccezionalmente brutale, ciascuna delle parti ha finora cercato di evitare l'escalation. All'inizio, l'amministrazione Biden ha dichiarato che non avrebbe inviato truppe statunitensi a combattere in Ucraina né vi avrebbe imposto una no-fly zone; la Russia si è astenuta dal condurre attacchi informatici diffusi, espandere la guerra oltre il territorio ucraino e utilizzare armi di distruzione di massa. Mentre la guerra continuava, tuttavia, questo senso di moderazione ha cominciato a venir meno, con il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti Lloyd Austin che ha affermato che gli Stati Uniti hanno cercato di indebolire la Russia a lungo termine e funzionari russi che hanno accennato all'uso di armi nucleari, indicando che i loro obiettivi di guerra potrebbero essere in espansione.

Anche l'azione unilaterale in Ucraina ha causato danni significativi a terzi. Aumentando drasticamente il costo dell'energia, le sanzioni occidentali alla Russia hanno inferto un duro colpo alle economie di paesi a basso e medio reddito, molti dei quali già devastati dalla pandemia di COVID-19. E i blocchi russi delle spedizioni di grano dall'Ucraina hanno esacerbato una crescente crisi alimentare mondiale. Poiché la guerra ha colpito molti altri paesi, è probabile che porre fine ai combattimenti e infine revocare le sanzioni richieda un impegno multilaterale. La Turchia ha già contribuito a mediare un accordo per consentire la ripresa delle esportazioni di grano ucraino e gli stati che fanno affidamento su queste esportazioni cercheranno senza dubbio accordi che rendano meno probabili interruzioni future. Se l'impegno ucraino a rimanere neutrale farà parte dell'accordo, dovrà essere approvato dagli Stati Uniti e da altri membri della NATO. Kiev vorrà senza dubbio rassicurazioni dai suoi sostenitori occidentali e da altre terze parti interessate o forse un'approvazione sotto forma di risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

 

GRANDI POTENZE, MAGGIORE COMPRENSIONE

La guerra in Ucraina ci ricorda che un modello come il nostro non può da solo produrre un ordine mondiale più favorevole. Non può impedire agli stati di rimanere incastrati in un costoso conflitto o di perdere delle opportunità per migliorare le relazioni. Ma utilizzare queste ampie categorie per guidare le relazioni delle grandi potenze, invece di cercare di resuscitare un ordine liberale dominato dagli Stati Uniti o imporre dall'alto nuove regole di governance globale, ha molti vantaggi. In parte perché i requisiti per aderirvi sono così minimi, il modello può rivelare se le potenze rivali sono seriamente impegnate a creare un ordine più favorevole. Uno Stato che rifiutasse il nostro approccio fin dall'inizio o le cui azioni al suo interno dimostrassero che gli impegni che assume a parole sono fasulli, incorrerebbe in gravi costi reputazionali e rischierebbe di provocare nel tempo una maggiore opposizione. Al contrario, gli stati che sposano questo modello e attuano in buona fede i suoi semplici principi, sarebbero considerati dagli altri in modo più favorevole e manterrebbero probabilmente un maggior sostegno internazionale.

Forse in nessun altro caso i potenziali benefici del nostro modello sono così evidenti come nel caso delle relazioni USA-Cina. Fino ad ora, gli Stati Uniti non sono riusciti ad esprimere una politica verso la Cina compatibile con la sicurezza e gli interessi economici vitali degli Stati Uniti senza mirare anche a ripristinare il primato degli Stati Uniti, danneggiando l'economia cinese. Lungi dall'accogliere la Cina all'interno di un sistema multipolare di regole flessibili, l'attuale approccio cerca di contenere la Cina, ridurre il suo potere relativo e limitare le sue opzioni strategiche. Quando gli Stati Uniti si riuniscono con un club di democrazie apertamente rivolto contro la Cina, non dovrebbe sorprendere che il presidente cinese Xi Jinping si avvicini al Presidente russo Vladimir Putin.

Tuttavia, questa non è l'unica strada da percorrere. Sia la Cina che gli Stati Uniti hanno sottolineato la necessità di cooperare in certe aree chiave, anche se competono in altre, e il nostro approccio fornisce un modello pratico proprio per fare questo. Indirizza i due rivali a cercare punti di accordo e azioni che entrambi riconoscono che debbano essere bandite; li incoraggia a cercare compromessi reciprocamente vantaggiosi; e ricorda loro di mantenere le loro azioni indipendenti entro limiti ragionevoli. Impegnandosi in questo quadro, Stati Uniti e Cina segnalerebbero un desiderio condiviso di limitare gli ambiti del contrasto ed evitare una spirale di animosità e sospetto sempre crescenti. Oltre a cooperare sul cambiamento climatico, la preparazione alla pandemia e altri interessi comuni, astenendosi da tentativi palesi di danneggiare reciprocamente la prosperità interna o la legittimità politica dell'altro, Washington e Pechino potrebbero perseguire una serie di misure di controllo degli armamenti, gestione delle crisi e riduzione del rischio, attraverso un processo di negoziazione e compromesso.

Sulla spinosa questione di Taiwan, gli Stati Uniti dovrebbero continuare la politica deliberatamente ambigua che hanno seguito dal Comunicato di Shanghai del 1972 - sostenendo gli sforzi di difesa di Taiwan e condannando i tentativi di riunificazione forzata di Pechino, pur opponendosi all'indipendenza unilaterale di Taiwan. Abbandonare questa politica a favore di un riconoscimento più diretto di Taiwan rischia di provocare una guerra, da cui nessuno trarrebbe vantaggio. Il nostro approccio flessibile non aiuterebbe se la Cina decidesse di invadere Taiwan per motivi puramente interni, ma renderebbe meno probabile che Pechino intraprenda questo fatidico passo come risposta alle proprie preoccupazioni sulla sicurezza.

Anche la gestione della competizione USA-Cina sulla sicurezza ha una dimensione multilaterale. Sebbene i paesi asiatici siano preoccupati per il crescente potere della Cina e vogliano la protezione degli Stati Uniti, non vogliono dover scegliere tra Washington e Pechino. Gli sforzi per rafforzare la posizione degli Stati Uniti in Asia sono destinati ad essere allarmanti per la Cina, ma l'entità delle sue preoccupazioni e l'intensità della sua risposta non sono predeterminate, e minimizzarle (per quanto possibile) è nell'interesse di tutti. Mentre Washington si sforza di rafforzare le sue alleanze asiatiche, quindi, dovrebbe anche sostenere gli sforzi regionali per ridurre le tensioni in Asia e incoraggiare i suoi alleati a evitare inutili contese con la Cina o tra di loro. Gli accordi commerciali regionali promossi dagli Stati Uniti, come l’ Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity appena lanciato, dovrebbero concentrarsi sulla massimizzazione dei benefici economici piuttosto che cercare di isolare ed escludere la Cina.

Anche se in questa discussione abbiamo enfatizzato le relazioni tra stato e stato, il nostro approccio potrebbe essere altrettanto produttivo per attori non statali, organizzazioni della società civile, accademici, opinion leader e chiunque abbia un interesse in una particolare area problematica. Incoraggia i membri della comunità globale ad andare oltre la netta antinomia tra conflitto e cooperazione, e a concentrarsi su questioni pratiche: quali azioni dovrebbero essere assolutamente vietate? Quali compromessi o aggiustamenti sarebbero fattibili e reciprocamente vantaggiosi? Quando è prevedibile e legittima un'azione autonoma, e come distinguere le azioni ben calibrate da quelle eccessive? E quando i risultati desiderati richiederanno accordi multilaterali per garantire che terzi non subiscano effetti negativi dagli accordi o dalle azioni intraprese da altri? Tali confronti non produrranno un consenso immediato o totale, ma degli scambi più strutturati su queste questioni potrebbero evidenziare possibili compromessi, suscitare spiegazioni o giustificazioni più chiare per posizioni concorrenti e aumentare le probabilità di raggiungere risultati reciprocamente vantaggiosi.

È possibile - qualcuno direbbe probabile - che la diffidenza reciproca, la leadership incompetente, l'ignoranza o la pura sfortuna si combinino insieme per produrre un futuro ordine mondiale significativamente più povero e sostanzialmente più pericoloso di quello attuale. Ma un esito di questo tipo non è inevitabile. Se i leader politici e i paesi che essi rappresentano desiderano veramente costruire un mondo più prospero e sicuro, gli strumenti per farlo sono disponibili.

 

* DANI RODRIK è Ford Foundation Professor di International Political Economy presso la Harvard Kennedy School.

STEPHEN M. WALT è Robert e Renee Belfer Professor di International Affairs alla Harvard Kennedy School.

 

 

2 commenti:

  1. Magistrale analisi che andrebbe
    diffusa ampiamente innanzitutto
    tra i governanti generalmente
    carenti di visione.
    Là dove cresce il pericolo
    cresce anche l'opportunità
    di soluzioni benefiche.

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  2. Gli americani costruiscono sempre modelli. Ma un modello già c'è: è la dialettica storica

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