15/03/11

La UE mette alla ruota i paesi periferici

Naked Capitalism commenta gli articoli di Wolfang Munchau ed Evans Pritchard sul nuovo aggiustamento del meccanismo europeo di "salvataggio" (si fa per dire) dei paesi debitori...

14 Marzo 2011

Per quelli di voi che non hanno familiarità con gli attrezzi medievali di tortura, la ruota era reputata un mezzo molto efficace per estorcere informazioni, e in genere si usava mettere una potenziale vittima lì a guardare, sotto minaccia evidente di essere la prossima, a meno di collaborare. La ruota non era solo terribilmente dolorosa, ma come la maggior parte dei metodi della vecchia scuola di tortura, spesso storpiava i sopravvissuti.
(La gente civilizzata, escludendo chiaramente il nostro Presidente e quelli che occupano posizioni influenti al Pentagono, oramai riconosce che la tortura serve solo a estorcere confessioni fasulle). Era anche impiegata nelle esecuzioni particolarmente cruente, come lo squartamento.

L'Eurozona sembra utilizzare simili metodi medievali nei confronti dei suoi paesi periferici carichi di debiti, senza lontanamente comprendere che il probabile risultato  sarà di provocare  gravi danni ai soggetti sottoposti a questo trattamento. Tuttavia, abbiamo lo spettacolo  di un insolito disaccordo tra  due critici della zona euro, quelli che considerano il suo approccio al debito sovrano intrecciato con la crisi del sistema bancario come "il famoso calcio alla  lattina lanciata in fondo alla via e chiamato strategia”. 

L'evento scatenante è stato l'annuncio durante il fine settimana di un altro aggiustamento ai meccanismi di finanziamento per i paesi a rischio di default: un ampliamento delle dimensioni del fondo di soccorso, una riduzione dell'1% dei tassi di interesse punitivi, qualche allentamento nelle restrizioni sull'uso dei 440 miliardi di euro del fondo (consenso ad acquisti limitati del debito dei paesi periferici). Ma numerose sono state le condizioni imposte ai paesi in oggetto. L'Irlanda ha rifiutato di accettare le nuove condizioni, perché avrebbe dovuto rinunciare alla sua bassa aliquota di imposta sulle società.

Uno dei due scettici, Wolfgang Munchau del Financial Times, sembra semplicemente rassegnato al naufragio finale. La sua lettura è semplice: ci sono solo due meccanismi per la risoluzione di una crisi del debito, e cioè o un piano di salvataggio o un default (o una combinazione dei due). Io in realtà sono un tantino in disaccordo, dato che le possibilità sono in realtà: "fornire nuovi fondi" che potrebbero non essere noccioline se il debito viene svalutato a sufficienza, una ristrutturazione su base volontaria, o un default. Ma nella sua linea di fondo ha ragione: gli europei sono impegnati in ciò che noi chiamiamo "prorogare e pretendere" e per i paesi come la Grecia, l'unico possibile finale di partita è il default:

"Questo gioco continuerà fino a quando l'economia del paese debitore crollerà sotto il peso del debito, e a questo punto l'inevitabile default sarà molto disordinato. Se saranno fortunati, non saranno più in carica allora, e potranno incolpare del disordine i successori.
    
Quindi che fare, invece? Si può accettare la logica di un default, e farlo ora, seguito da un grande programma per il salvataggio delle banche, una ricapitalizzazione della Banca centrale europea, e il sostegno al credito per il paese in default. Oppure, si accetta il principio di un bail-out, non attraverso trasferimenti dai paesi membri, ma un bond unico europeo che sostituisce tutti i debiti nazionali. Io personalmente sceglierei questa opzione. Un meccanismo di salvataggio di grandi dimensioni e altamente flessibile con lo status di pari passu, la possibilità di sottoscrivere 
titoli di debito o acquistarli nei mercati secondari, sarebbe stato un passo in quella direzione.

La signora Merkel ha detto nella conferenza stampa che la sua unica concessione – che il fondo ESM possa acquistare obbligazioni nei mercati primari - non farà una grande differenza. Ha ragione. Il meccanismo di salvataggio così come è costruito ora è solo una struttura d'emergenza. Sabato mattina, l'UE ha siglato un accordo che sta in purgatorio tra il salvataggio e il default, e confonde le cose in una crisi senza fine."

Ambrose Evans-Pritchard, invece, è ancora più stressato del solito, che per lui vuol dire molto. Lui invece si è concentrato sulle richieste in corso nei confronti dei paesi periferici e le trova insostenibili. Il nostro Richard Smith ha raggiunto una conclusione simile per l'Irlanda, ma ha sottolineato che gli Irlandesi possono avere modo di estorcere qualcosa ai membri della zona euro:

   "
Chissà se gli Irlandesi adesso dichiareranno default. O semplicemente pubblicheranno, al posto dei risultati insabbiati di quegli stupidi stress test, quelli davvero terribili che mostrano come siano necessari ancora 100 miliardi di euro, in qualche modo adottando la tecnica dei mendicanti di Calcutta che mostrano le loro piaghe infette per un supplemento di orrore e di pietà."
Io penso che l'Irlanda potrebbe fare ben di più che suscitare un brivido negli spettatori; potrebbe sconvenientemente richiamare l'attenzione sulla farsa degli stress test bancari e produrre reazioni inaspettate (se non altro, dai burocrati, i quali ritengono che tutti credono ai loro test, quando i mercati si reggono principalmente sulla previsione di una costante munificenza della banca centrale).

Una parte trovo particolarmente allarmante, ed è la richiesta di vendere le infrastrutture.
Per Evans-Pritchard:

"  Per la Grecia, i termini sono di una svendita di 50 miliardi di euro del patrimonio nazionale entro quattro anni, un aumento di dieci volte rispetto agli originali 5 miliardi su cui il premier George Papandreou aveva posto la firma un anno fa.
    Quando il FMI per primo ventilò questa somma il mese scorso, egli disse agli ispettori di non ""immischiarsi nelle questioni interne del Paese".
Le partecipazioni statali in Hellenic Post, Hellenic Railways, Athens Public Gas, l'Autorità Portuale del Pireo, l'Aereoporto di Atene, l'acqua di Salonicco, e ATEbank, solo per citarne alcuni, non ammontano a più 15 miliardi di euro. E poi?

" Nel frattempo, l'austerità morde più forte. Il numero di disoccupati è salito quasi di un intero punto al 14.8% a gennaio. La disoccupazione giovanile è al 39%.

Per il Portogallo, la situazione prevede un austero ridimensionamento, una stretta fiscale del 5.3% in un anno. Pensioni, welfare, e sanità saranno tagliate, dopo i tagli salariali già in corso. " Una discesa agli inferi", ha detto il Bloco de Ezquerda.

Quasi 300.000 sono i giovani scesi in strada a Lisbona e Oporto di Sabato, nel giorno della rabbia di una " Generazione Disperata", che invoca apertamente gli eventi di Tahrir Square in Egitto ...
Le condizioni per Spagna, Italia, Belgio e altri, sono di una sorveglianza intrusiva sulle pensioni, le politiche salariali, i livelli di produttività, così come le richieste per un obbligatorio "taglio del debito", indipendentemente dal fatto che una tale politica reazionaria implica una deflazione da 1930.

Proprio come gli euroscettici hanno sempre temuto, l'unione monetaria ha portato ad una situazione in cui - al fine di "salvare l'euro", come dice la signora Merkel - gli antichi Stati europei si trovano a dover accettare un salto verso l'unione politica e un certo grado di sottomissione che non sarebbe stato tollerato altrimenti.

Non vi è alcun meccanismo democratico a cui questo sistema centrale debba rispondere, in quanto il Parlamento europeo non ha una unica lingua o un unico popolo, e in termini pratici resta un organismo tecnico."

Quindi abbiamo un organo non eletto e una vergine di ferro tedesca a dettare legge. E come suggerisce il riferimento a Tahir Square di Evans-Pritchard, egli pensa che la gente si ribellerà. Egli osserva che nella Grande Depressione ci sono voluti tre anni perché le gravi condizioni economiche si traducessero in proteste. E' probabile che stavolta avverrà più velocemente, dato gli esempi incoraggianti delle rivolte in Medio Oriente (anche se l'Egitto aveva anni di organizzazione alle spalle) e la diffusa consapevolezza che i cittadini vengono spremuti per preservare i bilanci delle banche tedesche e francesi.

E' importante notare che il grande colpevole del deficit della Grecia è stata la sua spesa militare, che storicamente è stata appena al di sotto di quella di Israele, con le armi acquistate da Stati Uniti, Germania e Francia. La logica era quella di ingraziarsi dei protettori influenti nella lunga disputa con la Turchia. Ma la fedeltà comprata, chiaramente non funziona molto in profondità.

Un mio collega ha parlato con un amico in Grecia, e dice che le cose sul terreno sono peggiori rispetto a quanto riportato dai media. La disoccupazione tra i laureati recenti è del 70% (!) e la disobbedienza civile è diffusa. Il bersaglio preferito è il pedaggio. Una persona alza la sbarra, mentre il guidatore attraversa la stazione. E la logica è impeccabile: se ciascuno disobbedisce, il potere non può farsi rispettare. Ogni sforzo per farlo sarebbe capriccioso e si intaserebbero i tribunali.

Ma alti livelli di disoccupazione tra i giovani sono l'esca perfetta per più diffuse proteste. E come Evans-Pritchard sottolinea, gli stati creditori non possono legittimamente pretendere l'alta statura morale:
" Il tono è crudelmente unilaterale, come se si trattasse di un racconto morale su un sovrano saggio e delle vergini stolte. Gli stati debitori devono portare il marchio per quella che alla radice è una crisi bancaria pan-europea.

L'Irlanda e la Spagna non hanno mai violato il massimale del deficit del Patto di stabilità, mentre Germania e Francia l'hanno fatto. Non hanno infranto le regole. Caso mai, è stata la Banca centrale europea che ha infranto le regole portando i tassi di interesse reali sotto zero e sparando l'offerta di moneta."

Alla fine, il default da parte della Grecia e dell'Irlanda è inevitabile, e le politiche di austerità che producono deflazione spingeranno altri paesi in default o in ristrutturazione. Ma, come Munchau ha più volte sottolineato, il pensiero corrente tra i burocrati della zona euro è che una crisi differita è una vittoria, anche se provoca una esplosione peggiore quando alla fine la bomba scoppia.

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