Da Keynesblog un testo di Keynes, aggiornato nei nomi e nei riferimenti, descrive  benissimo la situazione attuale, che, ora come allora,  scarica tutto il riequilibrio sul mercato del lavoro e sui salari. Il lupo perde il pelo...
Questo testo è stato scritto da Keynes nel 1925 come 5° capitolo 
del pamphlet “Le conseguenze economiche di Winston Churchill”. A parte 
qualche taglio ed attualizzazione (in quello scritto Keynes prevedeva la
 crisi che sarebbe arrivata quattro anni dopo, noi la stiamo già 
vivendo), ci siamo limitati a sostituire Churchill con Mario Monti (ed 
Angela Merkel), il gold standard con l’Euro, i minatori con i lavoratori
 in genere, La Banca d’Inghilterra con la BCE, il Tesoro di Sua Maestà 
con il governo e la Commissione UE e il cambio dollaro/sterlina con lo 
spread. E’ davvero sorprendente l’attualità del testo. Dopo 87 anni il 
dibattito è ancora lo stesso: far pagare la crisi a chi non può 
difendersi, oppure ribaltare la prospettiva, per il bene di tutto il 
Paese.
Devo scegliere il lavoro come la 
più illustre delle vittime della nostra politica monetaria. In queste 
circostanze i datori di lavoro propongono di ristabilire l’equilibrio 
con una riduzione dei salari, quale conseguenza della maggiore precarietà,
 indipendentemente dalla riduzione del costo della vita: il che vale a 
dire riducendo il livello di vita dei lavoratori, i quali dovrebbero 
sopportare questo sacrificio per permettere di sanare una situazione di 
cui non sono assolutamente responsabili, e di cui non hanno alcun 
controllo.
Il fatto che questa appaia una soluzione ragionevole è di per sé una 
pesante critica al nostro modo di dirigere gli affari economici (anche 
se ciò non implica affatto che debbano essere i datori di lavoro a 
subire la perdita). Come ad altre vittime della transizione economica 
del passato, ai lavoratori non si offre altra scelta che la fame o la 
sottomissione, mentre i frutti della loro sottomissione vanno a 
beneficio di altre classi.
Sul piano della giustizia sociale la riduzione dei salari dei 
lavoratori è insostenibile. Sono le vittime sacrificate al Moloch 
dell’economia, rappresentano in carne e sangue i “riassestamenti 
fondamentali” elaborati dal governo nazionale, dalla Commissione Europea e dalla Banca Centrale Europea per soddisfare l’impazienza con cui i sacerdoti dei “mercati” vogliono livellare i differenziali tra i tassi d’interesse dei titoli di stato dei paesi periferici rispetto a quello della Germania. I lavoratori sono il “modesto sacrificio” ancora necessario per garantire la stabilità dell’Euro. La critica situazione dei lavoratori è la prima, ma non l’ultima (a meno che non ci assista molta fortuna) delle “conseguenze economiche del Professor Monti” (e della signora Merkel).
La verità è che siamo al bivio fra due teorie della società 
economica. L’una sostiene che i salari dovrebbero essere determinati 
facendo riferimento a quanto è “giusto” e “ragionevole” in un rapporto 
tra classi. L’altra, la teoria del Moloch economico, afferma che i 
salari dovrebbero essere determinati dalla pressione economica, 
altrimenti detta “realtà dei fatti”, e che tutta la nostra grande 
macchina debba procedere a rullo compressore, tenendo presente soltanto 
l’equilibrio generale, senza prestare attenzione alle conseguenze che 
comporta sui gruppi sociali.
L’Euro, affidato com’è al puro caso, con la sua fede nei 
“riassestamenti automatici” e la sua grande indifferenza ai particolari 
di carattere sociale, è l’emblema sostanziale, l’idolo di quelli che 
siedono nella cabina di comando.
Ritengo che nel loro cinismo, nel loro vago ottimismo, nella loro confortante fiducia che nulla di veramente grave possa accadere, vi sia temerarietà infinita. Nove volte su dieci nulla di veramente grave accade. Ma se continuiamo ad applicare i principi di una politica economica elaborata sulle ipotesi del laissez-faire e della libera concorrenza, vediamo che si verifica il decimo caso e, fra l’altro, conduciamo il gioco stupidamente.
Ritengo che nel loro cinismo, nel loro vago ottimismo, nella loro confortante fiducia che nulla di veramente grave possa accadere, vi sia temerarietà infinita. Nove volte su dieci nulla di veramente grave accade. Ma se continuiamo ad applicare i principi di una politica economica elaborata sulle ipotesi del laissez-faire e della libera concorrenza, vediamo che si verifica il decimo caso e, fra l’altro, conduciamo il gioco stupidamente.
“Le conseguenze economiche di Winston Churchill” si può trovare 
nel volume “Keynes, Esortazioni e profezie” edito da “Il Saggiatore”. 

Esemplare, profetico, sintetico ma esaustivo.
RispondiEliminaChe l'inferno riporti con sé la DSGE e relativi annessi e connessi (= esegeti, pifferai, boia dei popoli, ecc.ecc.).