Complimenti a Matteo Bernabé di TeleToscanaNord per questo limpido servizio TV - da collasso, da sturarsi le orecchie perché si stenta a credere che sia vero - e grazie a Piero Valerio de La Tempesta Perfetta che l'ha segnalato e che vi aggiunge altri concetti molto importanti
Ho fatto un sogno. Ho sognato che accendendo la televisione e guardando il telegiornale di una rete nazionale, avrei un giorno visto il servizio mandato in onda dalla coraggiosa emittente regionale TeleToscana Nord. Un servizio chiaro, sintetico, diretto che spiega tutto ciò che è avvenuto in Europa dall’introduzione dell’euro ad oggi senza troppe reticenze, omissioni. Il passo indietro della politica che ha volutamente aperto la strada alla tirannia dei mercati, il vero obiettivo dell’Unione Europea e della BCE che è sempre stato quello di privare i governi nazionali della loro sovranità politica e democratica, le possibili strade per uscire dalla dittatura della finanza seguendo magari l’esempio dell’Argentina, che dopo la crisi e il fallimento ha ripreso a crescere grazie al ritorno alla propria sovranità monetaria.
La
rete televisiva locale TeleToscana Nord è stata coraggiosa non tanto perché si
è schierata aggressivamente contro i cosiddetti poteri forti (chi sono? Quali
sono i loro nomi?) ma perchè dire la verità
oggi in Italia rappresenta un atto di coraggio. Nessun giornalista nazionale direbbe apertamente le cose dette nel
servizio perché avrebbe paura di urtare la sensibilità
dei politici al governo, i quali a loro volta non spiegano mai apertamente
ai cittadini come stanno in realtà le cose perché temono di infastidire gli
innominati dei poteri forti finanziari.
Ma ascoltando il servizio avrete potuto notare che il giornalista non accenna
mai a complotti della finanza, intrighi internazionali, ma ha
descritto soltanto lo svolgimento dei fatti. Un vero miracolo.
Dire
che la rinuncia alla sovranità monetaria e l’autonomia della BCE comporta la sudditanza nei confronti delle banche,
che sono le uniche ad arricchirsi ogni volta che uno stato si indebita e paga
maggiori interessi, non è altro che descrivere la verità di un fatto
incontestabile. Altra cosa invece sarebbe capire perché gli stati dell’eurozona
e i dirigenti politici di ogni singola nazione abbiano scelto volontariamente
di aderire a questo progetto strampalato
di unificazione monetaria, che non ha alcuna base scientifica: secondo le
più accreditate teorie delle aree valutarie ottimali
sappiamo infatti che non
esistevano in Europa i presupposti di mobilità dei fattori produttivi
(capitale e lavoro) per potere fronteggiare eventuali shock asimmetrici.
Quindi perché i
nostri politici sono andati avanti lo stesso?
Facciamo
alcune ipotesi. I nostri politici sono degli incompetenti e pensavano davvero che aggregarsi ad un progetto di
moneta forte non svalutabile avrebbe comportato dei vantaggi per l’economia
italiana. I nostri politici sono dei mercenari
e sapevano già che un’unione monetaria così fatta avrebbe avvantaggiato
soltanto i paesi strutturalmente più forti e costretto i più deboli a scaricare
i costi sui salari dei lavoratori (svalutazione interna). Infine la via
di mezzo: i nostri politici sanno e capiscono tutto ma non fidandosi della loro
capacità di amministrare bene lo stato senza sperperi e sprechi, hanno
preferito affidarsi al giudizio dei
mercati finanziari, come se questi ultimi conoscano meglio di chiunque
altro quale sia il metodo più razionale e sostenibile per indirizzare gli
investimenti.
Questa
terza ipotesi è sicuramente la più curiosa, perché prevede un misto fra
l’incompetenza e la malafede. Togliere agli stati la possibilità di utilizzare
la propria moneta e la propria banca centrale per finanziare la spesa pubblica
affidandosi esclusivamente al sostegno dei mercati significa non capire affatto
come funzionano i mercati finanziari internazionali. Gli investitori della
finanza ragionano infatti sempre in un’ottica
di breve periodo, cercando guadagni facili, alti e possibilmente privi di
rischio, mentre uno stato per definizione deve concentrarsi sugli investimenti di lungo periodo, che
includono il miglioramento delle infrastrutture pubbliche e il benessere
sociale della cittadinanza, in termini di reddito e servizi. Fra le due visioni
c’è un abisso di incompatibilità, che si è rivelata in tutta la sua grandezza
nell’errata valutazione dei mercati dei titoli di stato di paesi con problemi
strutturali come Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia, che per molti
anni sono stati scambiati ad un valore abbondantemente al di sopra di quello
reale. Fra l’altro se i mercati fossero così corretti, imparziali e precisi
nelle loro scelte di investimento non assisteremmo con ciclica frequenza
all’insorgere di bolle speculative o crisi finanziarie.
Eppure
i politici italiani, che ormai possono essere tranquillamente divisi in neoliberisti conservatori (PDL, Terzo
Polo) e neoliberisti riformatori
(PD, Italia dei Valori), hanno sempre creduto nella validità universale e
assoluta del giudizio dei mercati, appoggiando con convinzione la linea
dell’austerità tedesca e le iniziative di aumento della pressione fiscale di
Monti. Almeno fino a quando all’orizzonte non è apparsa la stella di Hollande, che insediandosi all’Eliseo
potrebbe stravolgere l’attuale struttura dell’Unione Monetaria Europea,
mettendo un freno alle politiche di rigore imposte dal Fiscal Compact e
cambiando lo statuto della BCE per consentire i finanziamenti diretti agli
stati. Da Bersani a D’Alema a Tremonti, è stato un coro di consenso trasversale
alla possibilità del cambio di guardia alla presidenza della Francia, ma
abituati come sono a salire sul carro del vincitore i politici italiani non si
sono accorti delle loro infinite contraddizioni: ma se auspicano tanto un cambiamento
strutturale ed epocale dell’Unione Europea perché non cominciano a muoversi
autonomamente?
Chiedere
a gran voce ai francesi di intervenire per invertire la rotta e intanto votare
nel silenzio più assoluto il pareggio di bilancio in costituzione è un
comportamento un po’ anomalo e ambiguo. Ma se i politici ormai ci hanno
abituato a queste acrobazie dell’incoerenza, cosa dicono i tecnici? Lo stesso Monti al momento del suo insediamento
aveva timidamente dichiarato che dopo avere svolto il compitino a casa, che si
è rivelato il solito salasso per le fasce deboli, avrebbe fatto delle precise
richieste a Bruxelles. Quali? Quando inizia a farsi sentire e a battere i
pugni? Cosa sta aspettando? Il governo Monti ha una maggioranza bulgara, il
consenso popolare e i suoi sostenitori politici sembrano scalpitare, quantomeno
a parole, per rivedere alcuni vincoli inaccettabili dei trattati europei.
Eppure al momento di descrivere punto per punto le modifiche da apportare,
bocche cucite e divagazioni varie.
Attendere
la vittoria di Hollande per mettersi alla ruota del suo carro e puntare il dito
contro gli errori e orrori dell’eurozona, sembra il consueto atteggiamento vile
di chi si nasconde dietro un paravento per paura di esporsi in prima persona. I
nostri governanti aspettano che sia Hollande a lanciarsi impavido contro i
tecnocrati europei e la perfida Merkel, verificheranno quale sarà il risultato di
questo scontro frontale e poi decideranno da che parte schierarsi. Se vince la
linea del cambiamento di Hollande, allora non c’è dubbio che i soliti veterani della viltà italica
annunceranno trionfanti: “Io avevo sempre
sostenuto che così com’era l’eurozona non poteva funzionare, la strategia
dell’austerità della Germania ha solo peggiorato le cose, lo statuto della BCE
andava cambiato, lo capisce anche un bambino etc”. Viceversa se dovesse
vincere il fronte del rigore della Merkel, tutti di nuovo in riga a trottare,
perché a differenza dei bambini che hanno il coraggio di parlare, di esprimere
concetti chiari e comprensibili, i nostri politici annaspano nella vaghezza più
assoluta, cambiando opinione come delle banderuole a seconda di dove tira il
vento e assicurandosi sempre di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte per
non scontentare nessuno.
Ma
la verità di fondo di questa estrema prudenza purtroppo potrebbe essere
un’altra. I vari D’Alema, Bersani, Alfano, Tremonti, Casini hanno riconosciuto
in Hollande un loro simile, un alleato, un neoliberista
della stessa pasta che non si sognerebbe nemmeno per sbaglio di
cambiare una virgola dei trattati europei, che tanti vantaggi comportano
agli adorati
sponsor dell’alta finanza e indirettamente anche a loro stessi. I suoi
discorsi
demagogici fanno parte di un copione già scritto da utilizzare soltanto
in campagna elettorale. Quando incalzati
dalle elezioni, quasi tutti i politicanti neoliberisti, di destra o sinistra
che siano (la differenza ormai nessuno la conosce), iniziano a scagliarsi
contro la finanza, i grandi redditi, l’eccessiva pressione fiscale, le storture
del progetto europeo, ma poi arrivati alla resa dei conti si fermano sempre
davanti ai soliti ostacoli: “Questo non
si può fare perché ce lo vieta l’Europa, questo si deve fare perché ce lo
chiede l’Europa, non possiamo permettere la fuga dei capitali, la Tobin tax si
deve fare a livello mondiale, la BCE deve mantenere il suo ruolo di garante
della stabilità dei prezzi etc”.
Messo
da parte il furbo Hollande, la vera novità dell’ultima tornata elettorale francese
è stata invece il clamoroso successo del partito di estrema destra del Fronte
Nazionale di Marine Le Pen, che
aveva un programma chiaro e senza mezze misure: uscire dall’euro subito, perchè questa moneta sbagliata e
fallimentare ci sta ammazzando tutti. Se non fosse stato per le sue posizioni
xenofobe contro l’immigrazione, Marine Le Pen avrebbe sicuramente raccolto
ancora più voti rispetto al già incredibile 18%, perché meglio di chiunque
altro aveva centrato in pieno il cuore di tutti i problemi europei. E’ inutile
tergiversare, questa lotta al massacro farà cadere ad uno ed uno tutti i paesi
europei e per diverse ragioni di parte e interessi nazionalistici, nessuno avrà
mai il coraggio di cambiare i trattati o la forza di modificare gli equilibri
attuali. Quindi invece che stare ancora su questo treno malandato e impazzito
senza conducente, meglio scendere subito e percorrere a piedi un’altra strada.
Ancora
in Europa non si era mai vista una posizione così chiara, autorevole e determinata
che indicasse nell’uscita dall’euro l’unica strada percorribile. Se confrontiamo
la limpidezza della Le Pen con la confusa ambiguità del maggiore movimento politico di estrazione populista,
il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo,
ci accorgiamo delle enormi differenze che esistono fra chi ha le idee chiare e
chi invece sguazza nella propaganda fine a se stessa vivendo soltanto di
sondaggi e di fiammate improvvise. Beppe Grillo infatti non ha mai avuto una
posizione netta e univoca sull’uscita o meno dall’euro, dichiarando un giorno sottovoce
che l’euro è una schifezza e ripiegando il giorno dopo sulla solita banalità
che senza l’euro potremmo stare anche peggio. Se diamo un’occhiata al programma economico del Movimento 5 Stelle possiamo ritrovare questi punti:
ü
Impedire
lo smantellamento delle industrie
alimentari e manifatturiere con un prevalente mercato interno
ü
Allineamento
delle tariffe di energia, connettività,
telefonia, elettricità, trasporti agli altri Paesi europei
ü
Riduzione
del debito pubblico con forti
interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi e con
l’introduzione di nuove tecnologie per consentire al cittadino l’accesso alle informazioni
e ai servizi senza bisogno di intermediari
ü
Favorire
le produzioni locali
ü
Sostenere
le società no profit
ü
Sussidio di disoccupazione
garantito
Tutte
proposte condivisibili e sottoscrivibili in pieno, ma come volevasi dimostrare
spulciando il programma del Movimento 5 Stelle non c’è nessuna posizione
definitiva riguardo all’euro e alla sostenibilità dell’intera eurozona, perché
a Beppe Grillo non interessa risolvere i problemi ma speculare e vivacchiare sui problemi esistenti: il suo Movimento 5
Stelle è in pratica come la Chiesa che senza la fame del mondo e la sua
funzione caritatevole non avrebbe più alcun senso di esistere. Ma se non vuole
ritornare ad una piena sovranità monetaria, potrebbe spiegarci Beppe Grillo o
qualcuno dei suoi come intende trovare i
soldi per finanziare questi progetti? Vuole aumentare le tasse? Oppure
vuole ridurre soltanto gli sprechi come è giusto che sia? E una volta azzerati
gli sprechi e ridotto all’osso lo Stato, come intende continuare a finanziare
gli altri progetti? Sa Beppe Grillo che per detassare e sostenere con sussidi
le imprese nazionali non bisogna avere vincoli di bilancio pubblico?
Insomma,
il populismo all’acqua di rose di Beppe Grillo, che giustamente non vuole avere
alcuna connotazione politica, vive sull’astrattezza pura e non va mai oltre il
seminato delle sue battaglie sacrosante per la difesa del territorio e l’importanza
strategica delle amministrazioni locali. Ma se messo di fronte ad una
visione più ampia e lungimirante degli eventi il Movimento 5 Stelle si ferma
bruscamente perché sembra non volere pestare i piedi a nessuno, tranne a quei
pochi sciamannati del teatrino della
politica italiana, che sono ormai un bersaglio fin troppo facile e comodo
per chiunque. In Italia quindi devono essere ben altri i movimenti e i partiti
politici extra-parlamentari che devono sobbarcarsi l’impegno di una seria lotta all’euro, senza pregiudiziali
o compromessi di sorta. Una lotta basata su dati di fatto reali, evidenze
empiriche, ragionamenti logici che dimostrano come una moneta sbagliata,
gestita in maniera sbagliata, può essere la più grave minaccia per la stabilità
sociale ed economica di una nazione.
Su Beppe Grillo in realtà non condivido le posizioni così definitive di Piero Valerio, anzi volevo segnalare questo sondaggio che è stato svolto sul suo blog, a favore dell'uscita dall' euro. Segno che il movimento se ne sta occupando, ed è orientato nel senso giusto.
Inoltre rilancio un suggerimento, che ho letto nel forum di Cobraf, e che mi sembra sensato:
"per tutti quelli che voteranno (o vorrebbero votare) M5S:
scrivete un post al sito di grillo invitandolo ad inserire nel programma politico l'USCITA DALL'EURO."
scrivete un post al sito di grillo invitandolo ad inserire nel programma politico l'USCITA DALL'EURO."
Il programma a 5 Stelle è stato creato in Rete grazie a decine di migliaia di contributi e l'aiuto di esperti per i singoli temi.
Può essere migliorato, aggiornato, esteso. Chi può, dovrebbe dare il suo contributo.
Nessuno
vuole fare una battaglia all’euro per partito preso, ma è l’euro stesso, per
come è stato progettato e congegnato, a muovere una guerra devastante contro tutti i popoli europei. Se non si ha
coscienza di questa verità, non si può andare da nessuna parte se non infilarsi
nel vicolo cieco dell’austerità,
dell’intervento sovranazionale della trojka
(UE, BCE, FMI), della ristrutturazione
del debito in stile greco e del ritorno al punto di partenza, senza avere
risolto nessuna delle cause del tracollo. Per fortuna però in Italia comincia a
muoversi qualcosa, come dimostra questo ottimo articolo di Claudio Borghi su Il Giornale, dal titolo emblematico: “Ora l’uscita dall’euro non è una
bestemmia”. Ma è sempre dall’estero che dobbiamo ricevere le indicazioni
più preziose per capire quali strade seguire per un’uscita rapida ed indolore
dall’euro, come suggerisce l’inglese The Economist (vedi l’interessante mappa
interattiva sotto che chiarisce quale sia la situazione attuale dell’Unione Europea).
I politici e i cittadini europei devono cominciare a prendere in considerazione quello che prima era ritenuto impensabile. La storia è disseminata di unioni monetarie che si sono sciolte per palesi difetti di progettazione. L'Irlanda ha lasciato la zona sterlina. I paesi baltici sono fuggiti dal rublo russo. I cechi e gli slovacchi si sono separati reciprocamente. Perché l'euro non dovrebbe rompersi?
I
fondatori dell'euro sono stati troppo superficiali a non prevedere turbolenze
capaci di evidenziare come accade oggi le lacune di progettazione, perché forse
erano concentrati a creare un serio rivale
del dollaro americano. E invece i padri dell’euro sono riusciti
nell’impresa non facile di ricreare una versione moderna del gold standard,
abbandonata quasi cento anni fa dai loro predecessori. Incapaci di svalutare la
propria moneta, i paesi europei stanno lottando l’uno contro l’altro per
cercare di riguadagnare competitività tramite la "svalutazione interna",
vale a dire, spingendo verso il basso i salari e i prezzi.
Una
strategia dolorosa che sta portando in Grecia e Spagna una disoccupazione superiore al 20%, senza peraltro superare la
diffidenza dei creditori internazionali, che continuano a dubitare sulla tenuta
futura dell’euro. Quale sarebbe la ragione di vivere con questo giogo? I
trattati possono dichiarare l'euro "irrevocabile",
ma i trattati possono pure essere
cambiati in qualsiasi momento. Il primo tabù è stato rotto l'anno scorso
quando la Germania e Francia hanno minacciato di espellere dall’euro la Grecia
dopo che il governo ellenico di Papandreou aveva proposto un referendum sui
nuovi termini del piano di ristrutturazione del debito.
Uno dei
motivi che tiene ancora in piedi l’euro è la paura di un caos finanziario ed economico senza precedenti. Un altro è
l'impulso a difendere l'investimento politico pluridecennale nel progetto
europeo e le proprie posizioni forti acquisite nel tempo, come quella della
Germania. Non a caso, nonostante il secondo salvataggio della Grecia, la
cancelliera tedesca Angela Merkel
continua a ripetere che l’uscita dall’euro sarebbe "catastrofica". La signora Merkel però non è pronta a prendere
i provvedimenti definitivi necessari per stabilizzare l'euro una volta per
tutte. La decisione della scorsa settimana di alzare il firewall fino a 800
miliardi di euro è solo di facciata, perché le vere potenzialità di prestito
del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES o ESM) sarà di 500 miliardi di euro. E
non c'è alcuna prospettiva, almeno per
ora, di socializzare una parte del debito complessivo tramite eurobond o altri strumenti finanziari.
Così la
zona euro resta vulnerabile a qualsiasi shock interno o esterno. I mercati
restano ancora preoccupati per il rischio di un default e di un crollo parziale
o totale dell'euro. Il buon senso suggerisce che i leader europei dovrebbero
iniziare a pensare a come gestire un'eventuale rottura improvvisa della moneta,
ma nessuno di loro ha ancora il coraggio di pianificare un serio programma di uscita ordinata.
Paradossalmente,
sono gli stati fuori dall’euro come la Gran Bretagna a riflettere e valutare le
varie alternative. Un gruppo di esperti inglesi vicini al Partito Conservatore
euroscettico hanno indetto un concorso per premiare con 250.000 sterline il miglior piano per gestire l’uscita dall'euro
dei paesi dell’eurozona. Uno dei concorrenti, Jonathan Tepper, ha elencato 69 casi
di rottura di una valuta o unione monetaria nel secolo scorso. Nella maggior
parte degli esempi riportati i paesi coinvolti non hanno avuto gravi danni
economici a lungo termine. In realtà, lasciando l'euro sarebbe più probabile
che i paesi più in difficoltà sarebbero in grado di recuperare in fretta.
Riprendendo la storia della scomparsa dell'Impero Austro-Ungarico, il signor
Tepper ha illustrato uno scenario per l’uscita
della Grecia.
I titoli di stato denominati in euro
dovrebbero essere convertiti in dracma, mentre quelli denominati in valuta
straniera verrebbero ristrutturati. Bisognerebbe tenere chiuse le banche per almeno una settimana per
aggiornare il software e cambiare tutti i depositi in nuovi dracme. Dovrebbero
essere effettuati controlli sui capitali
per impedire la fuga di denaro all'estero. Per i contanti, i greci potrebbero
utilizzare le banconote in euro esistenti segnalati magari con un particolare
inchiostro o un timbro. Una volta stampate le nuove banconote dracma, verrebbero ritirate le vecchie banconote
euro e il passaggio sarebbe in pratica concluso.
Un altro
concorrente finalista, Roger Bootle, sostiene che potrebbe essere migliore iniziare
con la partenza della Germania e degli
altri paesi forti. Ma ad ogni modo qualsiasi frammentazione creerà vincitori e
vinti, con molti fallimenti e problemi legali. Le imprese coinvolte in attività transfrontaliere troverebbero di
colpo che le loro attività e passività avranno cambiato valore. La stima dei
danni sarebbe così grande, e i contenziosi
così rovinosi, che l'opzione migliore è quella di abolire il corso legale dell'euro
non appena un paese lascia l’unione monetaria, in modo da invalidare tutti i
contratti in euro.
Nel loro
programma Jens Nordvig e Nick Firoozye sostengono che mettendo a punto una pianificazione controllata si
potrebbero ridurre incertezze e perdite. In base alle informazioni attuali ci
sono circa 30 miliardi di euro di attività transfrontaliere denominate sotto
una giurisdizione straniera,
comprese obbligazioni, prestiti, derivati e swap. Le turbolenze potrebbero
essere minimizzate attraverso la conversione di tutti questi contratti in una
forma modificata dell'Unità Monetaria Europea
(ECU, European Currency Unit), il paniere di valute nazionali che ha
preceduto l'introduzione dell’euro. Catherine Dobbs, l'ultima concorrente,
propone di rimediare la frittata dividendo l'euro in due (o più) zone: "tuorlo" e "albume". Ogni nuova valuta
nazionale verrebbe convertita in una combinazione
fissa dei due euro. I risparmiatori verrebbero così protetti, almeno
inizialmente, da eccessive svalutazioni e la fuga di capitali verso altri paesi
della zona euro sarebbe scoraggiata. Nel corso del tempo, il più debole tuorlo
comincerebbe poi a svalutare rispetto all’albume più forte.
Insomma le idee non mancano, ma il destino dell'euro sarà probabilmente determinato da una convergenza di scelte politiche ed economiche. Uno stato debitore, come l’Italia o la Spagna, potrebbe alla fine stancarsi di applicare programmi di austerità o svalutazione interna. Uno stato creditore a sua volta potrebbe stancarsi di sostenere gli altri. Ma l'esito peggiore di eventuali controversie sarebbe un’uscita caotica dall’euro, mentre un ordinato processo di uscita potrebbe diminuire le perdite e aumentare i benefici del ritorno alla sovranità monetaria, salvando dalla disintegrazione i principi generali e fondamentali del mercato unico, a cui nessun paese in verità ha mai detto di voler rinunciare. Chissà magari il sogno di liberarci definitivamente dalla prigionia dell’euro potrebbe essere più vicino di quanto pensiamo.
Ed ecco, come uscire di questo embroglio? Queste elezioni non hanno portare di soluzione, questo è su! Penso che è anche il contrario poiché andiamo forse dovere tornare alle urne!
RispondiEliminaE sarebbe bene farlo rimanere li anche dopo le elezioni italiane... vediamo che succede al referendom anti euro di grillo.
RispondiElimina