Un commento di Jacques Sapir allo psicodramma americano sul bilancio e sul debito: se è probabile che in un modo o nell'altro si giungerà ad un accordo, la credibilità del dollaro come valuta di riserva internazionale sarà sempre più sotto attacco, ma l'euro non se ne avvantaggerà
di Jacques Sapir
traduzione di Malachia Paperoga
(E dovremmo essere preoccupati?)
La possibilità di un fallimento degli Stati Uniti d'America viene sempre più evocata con l’avvicinarsi del 17 ottobre 2013 senza che si sia trovato (e votato) un accordo sul tetto del debito. Ora, senza questo accordo e l’innalzamento del tetto del debito, il governo degli Stati Uniti, che allo stato attuale è parzialmente paralizzato dallo "shutdown" conseguente al mancato accordo sul bilancio, non potrà più pagare né i titoli di debito arrivati a scadenza né i relativi interessi.
Il braccio di ferro tra Democratici e Repubblicani sembra aver raggiunto una portata storica. Il blocco (“shutdown”) dell'amministrazione federale non essenziale, in seguito a un conflitto prolungato, sta lì a dimostrare che la situazione è grave. Il rifiuto [1], sabato 12 ottobre, di un compromesso da parte del Senato degli Stati Uniti è giunto a ricordarci che ciò che è possibile alla fine potrebbe anche accadere...
Un default degli Stati Uniti, tuttavia, rimane improbabile. È probabile che nei prossimi giorni verrà trovato un compromesso, magari zoppicante, ma comunque un compromesso. Esso non farà altro che spostare le scadenze di 3-6 mesi e lascerà un po’ più di tempo per negoziare. Ma se dobbiamo elencare gli eventi in ordine di probabilità, è chiaro che un compromesso zoppicante è più probabile di un default, ma che quest'ultimo è più probabile di un compromesso a lungo termine. Per quanto improbabile, il rischio di un default non deve pertanto essere trascurato.
Un default degli Stati Uniti, tuttavia, rimane improbabile. È probabile che nei prossimi giorni verrà trovato un compromesso, magari zoppicante, ma comunque un compromesso. Esso non farà altro che spostare le scadenze di 3-6 mesi e lascerà un po’ più di tempo per negoziare. Ma se dobbiamo elencare gli eventi in ordine di probabilità, è chiaro che un compromesso zoppicante è più probabile di un default, ma che quest'ultimo è più probabile di un compromesso a lungo termine. Per quanto improbabile, il rischio di un default non deve pertanto essere trascurato.
I. Cosa significherebbe un default ?
Un default è spesso presentato come un terribile cataclisma [2]. Ciò è effettivamente un po' esagerato, almeno nel breve termine. Una momentanea incapacità degli Stati Uniti di pagare il debito (capitale e interessi) non significa né che essi non rimborserebbero nulla di questo debito né che non pagherebbero alcun interesse. Tutti capirebbero che si tratta di un incidente. Ma questo incidente in realtà avrebbe conseguenze durature, conseguenze monetarie ed economiche a causa della sua coesistenza con il problema di bilancio che ha scatenato lo "shutdown".
La prima conseguenza sarebbe il downgrade degli Stati Uniti e quindi il netto aumento dei tassi di interesse che dovrebbero pagare tutti gli operatori americani. Ora, l'economia statunitense è pesantemente dipendente dal credito e quindi dai tassi di interesse, sia per i consumi domestici sia per le attività di investimento. Ciò avrebbe conseguenze molto negative sulla crescita, che passerebbe dal 2,2% (livello attuale) molto probabilmente intorno all’1% o addirittura allo 0%. La seconda conseguenza, che potrebbe compensare parzialmente la prima, sarebbe una caduta del dollaro (USD). Il tasso di cambio Euro/Dollaro salirebbe a 1,45 USD o 1,50 USD. Questo darebbe un po’ di ossigeno alle imprese americane, ma penalizzerebbe fortemente quelle della zona Euro.
Una terza conseguenza è la persistente incapacità del governo degli Stati Uniti di sostenere le spese che sono per ora previste ma non ancora finanziate. Infatti, già molti contratti relativi alla difesa sono in sospeso. Ciò ha costretto la Boeing, che non è la più piccola azienda statunitense, a ricorrere massicciamente a sospensioni dei lavoratori non retribuite fino a quando durerà lo "shutdown" [3]. Tale fenomeno si generalizzerebbe e comprometterebbe gravemente il settore delle piccole-medie imprese, che gode di una parte degli appalti pubblici attraverso lo Small Business Act. Le catene di subappalto sarebbero largamente compromesse e questo effetto diretto o 'fiscale' si aggiungerebbe all'effetto "monetario". Gli Stati Uniti ripiomberebbero brutalmente in recessione.
Infine, quarta conseguenza, il ruolo del dollaro come valuta di riserva internazionale sarebbe sempre più sotto attacco. L’Euro non se ne gioverebbe, perché l’Europa sarebbe colpita in pieno da una recessione statunitense, ma ciò darebbe slancio alla Russia e alla Cina [4] per cercare di implementare una nuova moneta di riserva internazionale. E comunque, a partire dalla crisi del 2007, osserviamo che sia il dollaro sia l’euro stanno calando simultaneamente nelle riserve delle banche centrali mondiali. Infatti, la credibilità del dollaro è sotto pressione da molto tempo e un default, anche se solo temporaneo, non farebbe altro che accelerare il processo.
Grafico 1
Fonte: FMI
Queste sono indubbiamente delle conseguenze gravi, che sicuramente darebbero il via ad una catena di effetti, in particolare per quel che riguarda la sopravvivenza dell’eurozona. Lo shock recessivo avrebbe qui una ricaduta molto forte, rendendo impossibili le politiche salva-vita attualmente in corso nei confronti di molti paesi. Ciononostante, siamo ben lontani dalle previsioni apocalittiche di Jamie Dillon, CEO di JPMorgan Chase & Co., o di Anshu Jai, co-CEO di Deutsche Bank.
II. Cosa succederebbe senza default ?
Come detto nell’introduzione, un default non è, attualmente, lo scenario più probabile. Un compromesso dell’ultimo minuto rimane il risultato più verosimile. Ma un compromesso del genere non risolverà nulla. Lo scontro tra Democratici e Repubblicani è qualcosa di più di una normale contrapposizione politica. E’ uno scontro frontale tra due culture politiche in aperta contraddizione, una incentrata sullo sviluppo dello Stato Federale, l’altra su una chiusura. In queste condizioni, è molto improbabile che assisteremo a un compromesso che garantirà la stabilità dello Stato Federale, molto più probabilmente sarà un compromesso debole. E un compromesso del genere avrà conseguenze non poi così diverse da un default!
Infatti, le agenzie di rating si accingono, al momento opportuno (probabilmente entro 3 mesi), a declassare gli Stati Uniti, provocando un aumento dei tassi di interesse. Le spese di bilancio saranno quindi ridotte, saranno fatti dei tagli, tutte cose che avranno conseguenze nefaste per le imprese appaltatrici del governo federale, sia che esse siano grandi, piccole o medie. L’economia americana non beneficerebbe di una svalutazione importante, nemmeno se il tasso di cambio euro/dollaro dovesse salire inizialmente fino a 1,38 dollari. Infine, la credibilità del dollaro come valuta di riserva internazionale verrebbe indebolita, anche se non così velocemente come nel caso di un default.
E’ quindi interessante vedere che la questione del “default”, nonostante sia eminentemente simbolica, non è la più importante. La crescita negli Stati Uniti è molto fragile e non resisterà a queste ripetute crisi e psicodrammi sul bilancio. E nemmeno la credibilità del dollaro.
Più o meno velocemente - più in caso di default, meno in caso di un compromesso debole - ci avvieremo verso una grave crisi che metterà in discussione sia il sistema monetario internazionale sia quelli regionali, come l’Euro. Di fronte all’ineluttabilità di questa evoluzione, ci si può domandare se il vero interesse dei paesi europei non consista nello scioglimento dell’Euro e in un’alleanza con i paesi emergenti allo scopo di creare le condizioni per una vera valuta di riserva internazionale.
[1]
Kathleen Hunter, Roxana Tiron et Richard Rubin, « Fiscal
Impasse Widens as Deal Focus Turns to U.S. Senate »,
Bloomberg,
13 octobre 2013,
http://www.bloomberg.com/news/print/2013-10-13/fiscal-impasse-widens-as-deal-focus-turns-to-u-s-senate.html
[2]
Jesse Hamilton « JPMorgan’s Dimon Joins Jain Warning U.S.
Against Default », Bloomberg,
12 octobre 2013,
http://www.bloomberg.com/news/print/2013-10-12/jpmorgan-s-dimon-joins-jain-warning-u-s-against-default.html
[3]
Challenges.fr, « Shutdown : Boeing menace de mettre des
salariés en congés sans solde », 12 octobre 2013,
http://www.challenges.fr/entreprise/20131012.CHA5568/shutdowwn-boeing-menace-de-mettre-des-salaries-en-conges-sans-solde.html
[4]
Le Monde.fr et AFP, « Un média chinois appelle l’économie
mondiale à se “désaméricaniser” », 13 octobre 2013,
http://www.lemonde.fr/economie/article/2013/10/13/un-media-chinois-appelle-l-economie-mondiale-a-se-desamericaniser_3494864_3234.html
Sapir non sa che un paese dotato di piena sovranità monetaria non può essere costretto al default? gli Usa fanno default soltanto se decidono di fare default: come una impresa che ha liquidità ma decide di non pagare! il motivo? loro non hanno il vincolo esterno (dovrebbero trovare la scusa che sono gli extraterrestri a volerlo... poco credibile!) quindi si sono autoimposti un tetto ed il congresso non trova la maggioranza per aumentarlo.
RispondiEliminaSapir non sa che il declassamento delle agenzie di rating non può provocare un aumento dei tassi d'interesse in un paese dotato di piena sovranità monetaria? soltanto la Fed può decidere di innalzare il tasso d'interesse!
Se gli Usa faranno default lo sideve quindi esclusivamente ad una scelta politica che potrebbe avere la finalità di:
1) imporre politiche di austerità ai cittadini Usa
2) ricattare la Cina
3) far esplodere definitivamente l'Euro
http://www.youtube.com/watch?v=EBD7KPLrXiY
RispondiEliminahttp://www.youtube.com/watch?v=G67ha8iVmQ4
http://www.youtube.com/watch?v=4EqgIBVsQvA
http://www.youtube.com/watch?v=SNEJR1vmrLs
Ma sì, ma sì, che lo sa, Mario, mi sembra sia detto abbastanza chiaramente che un default - per quanto assai improbabile - sarebbe una scelta "politica". Comunque grazie dei links.
RispondiEliminadi niente! ;)
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