Su LaVoce.Info un articolo del prof Paolo Manasse sull'importanza dell'informazione economica che corre sul web. In Italia siamo indietro rispetto ad altri paesi, ma noi siamo l'avanguardia!! Venite al BlogEconomyDay!!!
di
Paolo
Manasse
25.10.2011
Negli Stati Uniti i
blog di singoli economisti, molto spesso accademici, incidono sulla
visibilità dei risultati scientifici, sulla reputazione degli autori e
della loro università e sulle opinioni dei lettori. In Italia, invece,
per l'informazione economica abbiamo quasi esclusivamente blog
collettivi. Perché? Quattro le ipotesi: una minor cultura economica del
paese; un maggior grado di concentrazione proprietaria dei media, che
lascia meno spazio alle iniziative individuali; una minor propensione al
rischio dei nostri intellettuali.
Perché molti economisti accademici, soprattutto
negli Stati Uniti, dedicano tempo e fatica a gestire un blog? Si
pensi ad esempio, a Steve Levitt di Freakonomics, Paul Krugman,
Brad De Long, Greg Mankiw, Dani Rodrik, Becker e Posner, Mark Thoma,
John Taylor. Forse i professori, a una certa età, sono stufi dei
lunghissimi tempi necessari a pubblicare sulle riviste scientifiche? O
ambiscono semplicemente a ottenere maggior visibilità, per sé e per i
propri lavori scientifici? Lo fanno per spirito civico, per sostenere le
proprie idee, per generare un dibattito e avere i feedback dei
lettori? E perché da noi questo, con rare eccezioni, non accade?
TRE EFFETTI
Un recente lavoro della Banca Mondiale risponde ad alcuni dei
precedenti interrogativi. Gli autori, David McKenzie e Berk Ozler,
sottopongono a verifica empiricaalcune interessanti ipotesi: ad
esempio che a) i link di otto tra i più importanti blog americani alle
pubblicazioni scientifiche/working papers citati ne accrescano in modo
significativo la diffusione (la frequenza di download e visione di
abstract); b) che i blog di economia accrescano la
visibilità/reputazione degli autori rispetto a colleghi di pari livello
scientifico; c) che i blog influenzino l'interesse e le opinioni dei
lettori riguardo ai temi trattati.
I risultati sono interessanti. Il link da un blog accresce in
maniera significativa le abstract views e i downloads
della pubblicazione nel mese della citazione e in quello successivo.
Com’è illustrato dalla figura 1, alcuni blog hanno un effetto
“moltiplicativo” veramente rilevante: ad esempio, una citazione di
Paul Krugman, Marginal Revolution o Freakonomics comporta
un aumento delle visioni di abstract compreso tra 300 e 470 unità
(rispetto a una media mensile di 10,3 visioni dei papers del National
Bureau of Economic Research) e un impatto sui download di 33-100
unità (rispetto alla media mensile di 4,2 di un paper Nber).
L'effetto reputazione è particolarmente interessante: gli autori impiegano i risultati di un’indagine surveyRePec) dei principali 500 economisti al mondo, basato sulle pubblicazioni scientifiche. L'indagine si chiede se la probabilità di apparire nella lista degli economisti più ammirati, oltre che dal ranking scientifico, sia anche influenzata dal fatto di essere o no un blogger. Lo è: l'attività di blogger accresce di circa il 40 per cento la probabilità di apparire nella lista degli economisti maggiormente ammirati, un effetto equivalente a quello di essere tra i cinquanta migliori economisti del modo sulla base del record di pubblicazioni.
Infine, per valutare l'impatto dei blog, gli autori hanno condotto un esperimento casuale su 619 tra studenti di Master e PhD in sviluppo economico, tra giovani economisti della Banca Mondiale e tra alcuni giovani appartenenti a Ong, una parte dei quali è stata invitata a seguire un nuovo blog della Banca Mondiale. I risultati mostrano che quanti sono esposti al blog danno un miglior giudizio sulla qualità della ricerca alla Banca Mondiale, e, in parte sulla desiderabilità di lavorarci.
E L’ITALIA?
Ma allora perché in Italia questo non accade? Noi abbiamo, per l’informazione economica, quasi esclusivamente blog collettivi : sia in ambito “accademico” (come lavoce.info, noisefromamerika), sia in ambito “giornalistico” (chicagoblog, phastidio). Certamente quest’assenza non può essere dovuta agli incentivi interni alla carriera accademica: se bloggare ha un elevato costo opportunità perché sottrae tempo prezioso al lavoro scientifico, questa spiegazione varrebbe solo se il merito accademico fosse molto più importante in Italia che negli Stati Uniti (cosa piuttosto improbabile). Un'altra plausibile spiegazione è che alcuni economisti possono ottenere esattamente gli stessi risultati di un blog “individuale” scrivendo sui quotidiani a larga diffusione, con l’indubbio vantaggio di accedere ad un ampia platea senza doversela “conquistare sul campo”, come un blogger qualsiasi. Ma questa spiegazione è convincente solo in parte, perché in tutti i paesi del mondo gli economisti scrivono anche sui grandi quotidiani, mentre da noi quasi solo su questi e su siti collettivi.
Rimane dunque una spiegazione basata sugli incentivi esterni: se i benefici individuali in termini di reputazione personale, diffusione dei risultati scientifici, possibilità di influenzare l’opinione pubblica con un blog sono percepiti da noi come una frazione di quelli americani, sarà razionale dividerne gli oneri associandosi in un sito collettivo, come infatti avviene. Ma allora cosa spiega tale percezione? Avanzo qui quattro ipotesi: dal lato della domanda d’informazione, 1) una minor cultura economica, una minor diffusione di internet e la barriera della lingua italiana implicano una minor dimensione del mercato italiano e dunque limitano l’impatto dei blog economici (ma il successo de lavoce.info sembrerebbe contraddire questa ipotesi); dal lato dell’offerta di informazione, 2) l’elevato grado di concentrazione proprietaria dei media lascia minor spazio a iniziative individuali; 3) l’estrazione cattolica/post-socialista di molti economisti favorisce le iniziative “collettive”; 4) le attività di networking producono in Italia maggiori vantaggi di quelle che passano per l’iniziativa individuale.
L'effetto reputazione è particolarmente interessante: gli autori impiegano i risultati di un’indagine surveyRePec) dei principali 500 economisti al mondo, basato sulle pubblicazioni scientifiche. L'indagine si chiede se la probabilità di apparire nella lista degli economisti più ammirati, oltre che dal ranking scientifico, sia anche influenzata dal fatto di essere o no un blogger. Lo è: l'attività di blogger accresce di circa il 40 per cento la probabilità di apparire nella lista degli economisti maggiormente ammirati, un effetto equivalente a quello di essere tra i cinquanta migliori economisti del modo sulla base del record di pubblicazioni.
Infine, per valutare l'impatto dei blog, gli autori hanno condotto un esperimento casuale su 619 tra studenti di Master e PhD in sviluppo economico, tra giovani economisti della Banca Mondiale e tra alcuni giovani appartenenti a Ong, una parte dei quali è stata invitata a seguire un nuovo blog della Banca Mondiale. I risultati mostrano che quanti sono esposti al blog danno un miglior giudizio sulla qualità della ricerca alla Banca Mondiale, e, in parte sulla desiderabilità di lavorarci.
E L’ITALIA?
Ma allora perché in Italia questo non accade? Noi abbiamo, per l’informazione economica, quasi esclusivamente blog collettivi : sia in ambito “accademico” (come lavoce.info, noisefromamerika), sia in ambito “giornalistico” (chicagoblog, phastidio). Certamente quest’assenza non può essere dovuta agli incentivi interni alla carriera accademica: se bloggare ha un elevato costo opportunità perché sottrae tempo prezioso al lavoro scientifico, questa spiegazione varrebbe solo se il merito accademico fosse molto più importante in Italia che negli Stati Uniti (cosa piuttosto improbabile). Un'altra plausibile spiegazione è che alcuni economisti possono ottenere esattamente gli stessi risultati di un blog “individuale” scrivendo sui quotidiani a larga diffusione, con l’indubbio vantaggio di accedere ad un ampia platea senza doversela “conquistare sul campo”, come un blogger qualsiasi. Ma questa spiegazione è convincente solo in parte, perché in tutti i paesi del mondo gli economisti scrivono anche sui grandi quotidiani, mentre da noi quasi solo su questi e su siti collettivi.
Rimane dunque una spiegazione basata sugli incentivi esterni: se i benefici individuali in termini di reputazione personale, diffusione dei risultati scientifici, possibilità di influenzare l’opinione pubblica con un blog sono percepiti da noi come una frazione di quelli americani, sarà razionale dividerne gli oneri associandosi in un sito collettivo, come infatti avviene. Ma allora cosa spiega tale percezione? Avanzo qui quattro ipotesi: dal lato della domanda d’informazione, 1) una minor cultura economica, una minor diffusione di internet e la barriera della lingua italiana implicano una minor dimensione del mercato italiano e dunque limitano l’impatto dei blog economici (ma il successo de lavoce.info sembrerebbe contraddire questa ipotesi); dal lato dell’offerta di informazione, 2) l’elevato grado di concentrazione proprietaria dei media lascia minor spazio a iniziative individuali; 3) l’estrazione cattolica/post-socialista di molti economisti favorisce le iniziative “collettive”; 4) le attività di networking producono in Italia maggiori vantaggi di quelle che passano per l’iniziativa individuale.
Ciao Carmen! :)
RispondiEliminaIo, come al solito, sarei più pragmatica.
Il tempo è denaro.
Ma un'ora dell'Avv.to Bongiorno vale 800,00 meritatissimi euro, mentre un'ora delle mie vale ZERO (meritatissimi euro) :))
Poi ci sono le vie di mezzo!
Ma più il costo orario di una persona scende più la vedrai disponibile a dedicare tempo ad un blog, viceversa, più sale più la vedrai occuparsi di attività ben più redditizie.
Come mai di blog di cucina ce ne sono più che di quelli di Economia? Perché le casalinghe hanno più tempo degli Economisti.
Giusto, Claudia, non c'è dubbio...però è vero che all'estero economisti accademici molto quotati tengono un blog...naturalmente ci mettono le loro pubblicazioni, che farebbero comunque, e che così sono accessibili a tenta tanta gente in più...e loro diventano più famosi/diffondono le loro idee.
RispondiEliminaLe Casalinghe hanno più tempo degli economisti...dopo che i pargoli sono cresciuti, s'intende ;)
Riguardo all'Italia, ma ce lo vedete voi un XXXX o un XXXX che tengono un blog? Avevo messo i nomi ma poi li ho cancellati perché il discorso vale per tutti.
RispondiEliminaNon si tratta di condividere o meno le opinioni di uno o dell'altro, si tratta della supponenza che acquistano qua in Italia i personaggi quando diventano famosi.
Per avere un blog bisogna rimanere con i piedi per terra, perché il blog è fatto dal 50% da chi scrive ma dal 50% da chi legge.
Ma qua in Italia, e non solo in campo economico, appena qualcuno raggiunge una posizione subito pone paletti tra sè e "la plebe" intorno.
L'autore parla del blog di Krugman. Posso parlare anch'io di quello perché lo seguo abbastanza.
Il Prof. Krugman, nonostante sia Premio Nobel, lo sapete che si legge i commenti? E poi magari fa un post di risposta che possa valere per il maggior numero di lettori.
Ha un tono molto colloquiale, non parla nè politichese nè economistichese (se esiste il termine non lo so ma il concetto è quello).
Mi è piaciuto molto un mini-post in cui spiega che chi lo accusa di parlare in modo troppo poco altisonante non capisce che chi parla in politichese è perché racconta una cosa per l'altra.
(Mi ricorda mio padre, quando fa questi discorsi...anche per questo mi piace).
La chiarezza e la semplicità, con cui un Politico o un Economista dovrebbero esprimersi non è, come molti pensano, sinonimo di poca professionalità, ma è il contrario!
Solo che un tipo come Krugman, con quel che dice, sono secoli che non è più invitato a Jackson Hole. Ma lui se ne infischia e fa bene.
Lo sapete perché le persone non capiscono la matematica, poi? Per colpa degli insegnanti poco chiari. Tutto qui. Chiunque può capire la matematica se chi la spiega "si abbassa" al livello di chi deve comprendere.
Ma in Italia chi per caso sa qualcosa più di un altro, chi per caso è un po' più famoso di un altro, subito si mette sul piedistallo e pone una barriera tra lui e il mondo esterno: sì, se come persona vale poco, però. ;)
Condivido in pieno. La chiarezza e la semplicità sono alte vette, punti d'arrivo e per accedervi bisogna aver capito molto bene la cosa...
RispondiEliminaVero che gli insegnanti in genere se la tirano non poco per quello che sanno... ricordo sempre un'insegnante di francese che allo scrutinio del trimestre aveva quasi tutta la classe con insufficienze. Il Preside (un grande) si mise a interloquire con lei in un perfetto francese, lei cercò di tenere botta per un po', ma poi cominciò vistosamente ad annaspare....
Claudia,
RispondiEliminacondivido tutto quello che hai detto!!! al 100%.
Per quello che hai detto, anche tu sei una grande!!!!
Adesso però, ti scongiuro non perdere la tua umiltà!!! Altrimenti non posso fare più complimenti.
Cordiali saluti, Nicola.