22/01/23

La distopia globalista di Davos



Sul sito Unherd una interessante analisi di Thomas Fazi sulla filosofia di base di questa organizzazione, che può essere considerata un emblema quasi caricaturale delle istituzioni globaliste: l'obiettivo è scindere la politica dal processo democratico e il mezzo per garantirne il successo è l'infiltrazione nelle istituzioni statali e internazionali. Aldilà di ogni complottismo, perché tutto è dichiarato in maniera aperta. 


di Thomas Fazi, 16 gennaio 2023

Migliaia di membri dell’élite mondiale si sono riunite in questi giorni a Davos per il loro più importante raduno annuale: l’incontro del World Economic Forum (WEF). Accanto ai capi di Stato di tutto il mondo, sono discesi nella capitale svizzera, tra gli altri, gli amministratori delegati di Amazon, BlackRock, JPMorgan Chase, Pfizer e Moderna, come anche la presidente della Commissione europea, la direttrice operative del FMI, il segretario generale della Nato, i vertici dell’FBI e del MI6, l’editore del New York Times e, naturalmente, il famigerato “Cicerone” dell’evento, il fondatore e presidente del WEF, Klaus Schwab. Fino a 5.000 soldati sono stati mobilitati a protezione dell’evento.  

Data la natura elitaria quasi caricaturale di questo “festival”, è naturale che l’organizzazione sia diventata oggetto di ogni sorta di teoria del complotto riguardo al suo presunto intento malevolo e alla sua “agenda segreta” legata al cosiddetto “Grande Reset”. In verità, non c’è nulla di cospiratorio nel WEF, nella misura in cui le cospirazioni implicano segretezza. Al contrario, il WEF – a differenza, ad esempio, del Bilderberg Group – è molto aperto sulla sua agenda: si possono persino seguire le sessioni in streaming online.

Fondato nel 1971 dallo stesso Schwab, il WEF è “impegnato a migliorare lo stato del mondo attraverso la cooperazione pubblico-privata”, nota anche come “governance multistakeholder”. L’idea è che il processo decisionale globale non dovrebbe essere lasciato ai governi e agli Stati-nazione — come nel quadro multilateralista del dopoguerra sancito dalle Nazioni Unite — ma dovrebbe coinvolgere un’intera gamma di “stakeholder”, o parti interessate, non governative: organismi della società civile, esperti accademici, personaggi dei media e, soprattutto, multinazionali. Nelle sue stesse parole, il progetto del WEF intende “ridefinire il sistema internazionale come un sistema più ampio e sfaccettato di cooperazione globale in cui i quadri normativi e le istituzioni intergovernative siano inseriti come una componente centrale, ma non l’unica e talvolta nemmeno la più importante”.

Anche se tutto questo può sembrare abbastanza innocuo, sintetizza perfettamente la filosofia di base del globalismo: scindere la politica dalla democrazia trasferendo il processo decisionale dal livello nazionale e internazionale, dove i cittadini sono teoricamente in grado di esercitare un certo grado di influenza sulla politica, al livello sovranazionale, affidando a un gruppo autoselezionato di “stakeholder” non eletti e privi di responsabilità – principalmente grandi aziende – il compito di decidere su tutti i principali temi a livello globale, dalla produzione di energia e alimentare, ai media e alla salute pubblica. La filosofia antidemocratica sottostante è la stessa alla base dell’approccio filantrocapitalista di personaggi come Bill Gates, lui stesso un partner di lunga data del WEF, secondo cui le organizzazioni sociali e imprenditoriali non governative sono più adatte a risolvere i problemi del mondo rispetto ai governi e alle istituzioni multilaterali.

Anche se il WEF negli ultimi anni ha sempre più focalizzato la sua agenda su argomenti alla moda come la protezione dell’ambiente e l’imprenditoria sociale, non ci sono dubbi su quali siano gli interessi che la creatura di Schwab stia effettivamente promuovendo: il WEF è finanziato principalmente da circa 1.000 grandi società, generalmente imprese globali con fatturati multimiliardari, che comprendono alcune delle più grandi multinazionali del petrolio (Saudi Aramco, Shell, Chevron, BP), del cibo (Unilever, The Coca-Cola Company, Nestlé), della tecnologia (Facebook, Google, Amazon, Microsoft, Apple) e della farmaceutica (AstraZeneca, Pfizer, Moderna). Anche la composizione del consiglio di amministrazione del WEF è rivelatrice: comprende Laurence D. Fink, CEO di Blackrock, David M. Rubenstein, co-presidente del Carlyle Group e Mark Schneider, CEO di Nestlé. Non c’è bisogno di ricorrere a teorie del complotto per concludere che è molto più probabile che l’agenda del WEF sia finalizzata a promuovere gli interessi dei suoi finanziatori e membri del consiglio di amministrazione – i ceti ultra-ricchi e le grandi corporation – piuttosto che a “migliorare lo stato del mondo”, come rivendica l’organizzazione.

Forse l’esempio più simbolico della spinta globalista del WEF è il controverso accordo di partenariato strategico che l’organizzazione ha firmato con le Nazioni Unite nel 2019, che molti ritengono abbia attirato le Nazioni Unite entro la logica della cooperazione pubblico-privata del WEF. Secondo una lettera aperta firmata da più di 400 organizzazioni della società civile e 40 network internazionali, l’accordo rappresenta una “inquietante cattura corporativa delle Nazioni Unite, che ha pericolosamente spinto il mondo verso una governance globale privatizzata”. Le disposizioni del partenariato strategico, si osserva nella lettera, “prevedono effettivamente che i leader aziendali diventino ‘suggeritori’ dei capi dei dipartimenti del sistema delle Nazioni Unite, utilizzando il loro accesso privato per sostenere ‘soluzioni’ ai problemi globali orientate al mercato e al profitto, compromettendo in tal modo soluzioni reali orientate all’interesse pubblico e procedure democratiche trasparenti”.

Questa cattura dell’agenda globale da parte delle grandi imprese, favorita e incoraggiata dal WEF, è diventata particolarmente evidente durante la pandemia di Covid-19. La politica sanitaria globale e la “preparazione alle epidemie” sono state a lungo al centro dell’attenzione del WEF. Nel 2017 è stata lanciata a Davos la “Coalition for Epidemic Preparedness Innovations” (CEPI), un’iniziativa volta a garantire la fornitura di vaccini per le emergenze globali e le pandemie finanziata dai governi e da donatori privati, tra cui Gates. Poi, nell’ottobre 2019, appena due mesi prima dell’inizio ufficiale dell’epidemia a Wuhan, il WEF ha co-sponsorizzato un’esercitazione denominata “Event 201”, che simulava “un focolaio di un nuovo coronavirus zoonotico trasmesso dai pipistrelli ai maiali fino alle persone, che alla fine diventa efficacemente trasmissibile da persona a persona, portando a una grave pandemia”. In caso di pandemia, osservavano gli organizzatori, i governi nazionali, le organizzazioni internazionali e il settore privato avrebbero dovuto fornire ampie risorse per la produzione e la distribuzione di grandi quantità di vaccini attraverso “forme robuste di partenariato pubblico-privato”.

Quindi, è lecito affermare che quando è scoppiata la pandemia di Covid, il WEF era ben posizionato per assumere un ruolo centrale nella risposta pandemica. È stato al raduno del 2020 a Davos, dal 21 al 24 gennaio – poche settimane dopo che il nuovo coronavirus era stato identificato in Cina – che la CEPI ha incontrato l’amministratore delegato di Moderna, Stéphane Bancel, per avviare lo sviluppo di un vaccino Covid-19, in collaborazione con il National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti. Nel corso dell’anno, la CEPI è stata determinante nella creazione del “Covid-19 Vaccines Global Access” (Covax), in collaborazione con l’OMS, e nel fornire finanziamenti per diversi vaccini Covid.

Queste coalizioni pubblico-private – tutte legate al WEF e al di là di qualunque controllo democratico – hanno svolto un ruolo cruciale nella promozione di una risposta alla pandemia incentrata sui vaccini e orientata al profitto, e successivamente nella supervisione del programma vaccinale. In altre parole, la pandemia ha manifestato in tutta evidenza le conseguenze della spinta globalista decennale del WEF.  Ancora una volta, sarebbe sbagliato considerare questo come un complotto, dal momento che il WEF è sempre stato molto chiaro sui suoi obiettivi: questo è semplicemente l’inevitabile risultato di un approccio “multistakeholderista” in cui gli interessi privati e “filantropici” trovano maggiore rilevanza negli affari globali rispetto alla maggior parte dei governi.

Ciò che è preoccupante, tuttavia, è che il WEF sta ora promuovendo lo stesso approccio dall’alto verso il basso, guidato dalle grandi aziende, in una vasta gamma di altri settori, dall’energia, ai prodotti alimentari, alle politiche di sorveglianza globale, con conseguenze altrettanto drammatiche. C’è una ragione per cui i governi sembrano spesso così disposti ad accettare queste politiche, anche di fronte a una diffusa opposizione sociale: ovvero che la strategia del WEF, nel corso degli anni, non è stata solo quella di allontanare il potere dai governi, ma anche di infiltrarsi in questi ultimi.

Il WEF ha ampiamente raggiunto questo obiettivo attraverso un programma noto come iniziativa Young Global Leaders (YGL), volto a formare i futuri leader globali. Lanciata nel 1992 (quando si chiamava Global Leaders for Tomorrow), l’iniziativa ha generato molti capi di Stato, ministri e dirigenti d’azienda allineati al globalismo. Tony Blair, ad esempio, partecipò al primo di questi eventi, mentre Gordon Brown vi partecipò nel 1993. In effetti, sin dalle sue prime fasi vi parteciparono molti altri futuri leader, tra cui Angela Merkel, Victor Orbán, Nicholas Sarkozy, Guy Verhofstadt e José Maria Aznar.

Nel 2017, Schwab ha ammesso di aver utilizzato la Young Global Leaders per “penetrare in diversi governi”, aggiungendo che nel 2017 “più della metà” dei membri del governo del primo ministro canadese Justin Trudeau erano stati partecipanti al programma. Più di recente, a seguito della proposta del primo ministro olandese Mark Rutte di ridurre drasticamente le emissioni di azoto in linea con le politiche “verdi” ispirate dal WEF, che ha scatenato grandi proteste nel paese, i critici hanno attirato l’attenzione sul fatto che non solo lo stesso Rutte aveva stretti legami con il WEF, ma anche il suo ministro degli affari sociali e dell’occupazione era stato eletto WEF Young Global Leader nel 2008, mentre il suo vice primo ministro e ministro delle finanze Sigrid Kaag contribuisce all’agenda del WEF. Nel dicembre 2021, il governo olandese ha pubblicato la sua passata corrispondenza con i rappresentanti del World Economic Forum, mostrando un’ampia interazione tra il WEF e il governo olandese.

Anche l’ex primo ministro dello Sri Lanka Ranil Wickremesinghe – che l’anno scorso è stato costretto a dimettersi a seguito di una rivolta popolare contro la sua decisione di vietare fertilizzanti e pesticidi a favore di alternative organiche e “climate-friendly” – è stato un membro e assiduo collaboratore dell’Agenda del WEF. Nel 2018 ha pubblicato un articolo sul sito web dell’organizzazione dal titolo: “Ecco come renderò ricco il mio paese entro il 2025”. (In seguito alle proteste, il WEF ha rapidamente rimosso l’articolo dal suo sito web). Ancora una volta, sembra chiaro che il ruolo del WEF nella formazione e nella selezione dei membri delle élite politiche mondiali non sia una cospirazione, ma piuttosto una politica pubblicamente nota, di cui Schwab è felice di vantarsi.

In definitiva, non si può negare che il WEF eserciti un potere immenso, che ha cementato il dominio della classe capitalista transnazionale a un livello mai visto prima nella storia. Ma è importante riconoscere che il suo potere è semplicemente una manifestazione del potere della “superclasse” che rappresenta – un piccolo gruppo che ammonta, secondo i ricercatori, a non più di 6.000 o 7.000 persone, ovvero lo 0,0001% della popolazione mondiale, eppure più potente di qualsiasi classe sociale che il mondo abbia mai conosciuto. Samuel Huntington, che ha il merito di aver inventato il termine “uomo di Davos”, ha sostenuto che i membri di questa élite globale “non hanno bisogno di una identità nazionale, vedono i confini nazionali come ostacoli che fortunatamente stanno svanendo e vedono i governi nazionali come residui del passato, la cui unica funzione utile è facilitare le operazioni globali dell’élite”. Era solo questione di tempo prima che questi aspiranti cosmocrati sviluppassero uno strumento attraverso il quale esercitare pienamente il loro dominio sulle classi subalterne – e il WEF si è dimostrato il veicolo perfetto per farlo.

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